Lo scorso 31 agosto, presentando un’istanza di fallimento in Corea del Sud e negli Stati Uniti, la Hanjin Shipping ha scoperchiato il vaso di Pandora del trasporto marittimo di container. Si tratta della prima compagnia coreana del settore e tra le maggiori del mondo, che dal 2011 chiude i bilanci in perdita e ha accumulato un debito di oltre 5,5 miliardi di dollari. Nell’ultimo mese ha costretto in mare, senza possibilità di attraccaggio, quasi il 70% della sua flotta di 141 navi, per un valore di merci trasportate stimato in 14 miliardi di dollari. Dopo giorni critici, con lo spettro di gravi ripercussioni sul commercio globale e ricadute sullo shopping legato al Thanksgiving e al Natale, l’emergenza sembra in via di definizione. Grazie ai fondi forniti dal presidente di Hanjin Cho Yang-ho e alle garanzie accordate da uno dei suoi principali creditori, la Korea Development Bank, istituto controllato dallo Stato. E potrebbero dunque esserci sviluppi anche per le attività italiane del gruppo, che nel nostro Paese opera in joint-venture con l’armatore genovese Gastaldi. Ma la strada obbligata è quella del consolidamento, un fenomeno che ha già interessato quest’anno molti degli operatori del settore e che subirà una nuova accelerazione nei prossimi anni. L’alternativa? Per Gerry Wang, numero uno della società canadese Seaspan che ha noleggiato tre navi ad Hanjin Shipping, il suo crac “è come la Lehman Brothers dei mercati finanziari”. “E’ una grande bomba atomica”, ha detto a Bloomberg. “Scuote dalle fondamenta la catena distributiva, pietra angolare della globalizzazione”.

Il fondo di salvataggio finanziato da Stato, Korean Air e dal presidente del gruppo  – Il 23 settembre, una riunione d’urgenza convocata dal governo sudcoreano ha finalmente delineato la creazione di un fondo di emergenza da 145 milioni di dollari necessari per sbloccare l’impasse. Korean Air, azionista di maggioranza del gruppo Hanjin, ha messo sul tavolo 55 milioni di dollari, mentre 45 proverranno dalla Korea Development Bank. Cho Yang-ho fornirà invece 36 milioni e ulteriori 9 verranno messi a disposizione dall’ex presidente della compagnia, Choi Eun-young, attualmente sotto inchiesta per insider trading.

Il denaro sarà utilizzato per rimborsare la platea di creditori della compagnia di trasporto: società di noleggio delle navi (solo il 40% della flotta di Hanjin è di proprietà), porti a cui non sono stati pagati ancoraggio e servizi, terminal, pedaggi (il Canale di Suez, per esempio), agenzie di reclutamento degli equipaggi, fornitori di bordo, società di gestione delle navi. Il ministro delle finanze e vicepremier Yoo Il-ho, che a seguito del vertice ha visitato il terminal di Hanjin Shipping a Pusan, la città portuale più grande della Corea del Sud, ha assicurato: “Completeremo lo scarico del 90% delle portacontainer di Hanjin entro la fine di ottobre”. Al momento, secondo quanto riportato da Business Korea, sono state scaricate 35 navi, di cui 18 in Corea e 17 in porti esteri. Altre 33 navi ritorneranno in patria, mentre resta da definire la situazione per le 29 rimanenti, bloccate in acque straniere.

Delrio: “Almeno 10 milioni di insoluti verso operatori italiani e merci bloccate per un valore di 1 miliardo” – L’Italia rappresenta un hub importante per il gruppo e durante il question time della scorsa settimana il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, ha chiesto a Seul di comunicare al sistema portuale “come intenda gestire i circa 20.000 container che statisticamente sono l’in/out da ora a Natale da/verso l’Italia”. Delrio ha specificato che “gli insoluti che Hanjin lascia a terminal operator e altri operatori ammontano ad almeno una decina di milioni, considerato che il valore delle merci import/export Italia bloccate sulle navi, secondo le nostre stime, ammonterebbe a più di un miliardo”. Il consiglio di amministrazione di Hanjin Italy, agente mandatario di Hanjin Shipping per il mercato italiano, ha votato il 2 settembre la messa in liquidazione volontaria della società e il 19 settembre è decorso il termine per i licenziamenti collettivi che riguardano i 92 dipendenti di Hanjin Italia, di cui 86 a Genova dove ha sede la società.

Rischio di impatto sull’intera filiera e sul settore finanziario che ha investito nel settore – Gerry Wang, tra i fondatori della canadese Seaspan che ha noleggiato tre navi ad Hanjin Shipping, ha appunto paragonato la vicenda al fallimento di Lehman Brothers del 2008, un evento epocale che ha innescato una crisi globale. La richiesta di amministrazione controllata presentata dalla compagnia coreana potrebbe avere un impatto non solo settore del trasporto marittimo, ma anche sull’intera filiera della logistica e sul settore finanziario, che negli ultimi anni ha investito notevoli risorse nel rinnovamento dei vettori, di sempre più grandi dimensioni. L’aumento della capacità delle navi, arrivate a poter ospitare quasi 20.000 container, aveva l’obiettivo di razionalizzare le spese e risparmiare carburante, ma avuto l’effetto di provocare un eccesso di stiva, ridurre il costo delle spedizioni e permettere solo ai player più grandi di reggere la competizione. Le compagnie si sono quindi strutturate in consorzi per scambiarsi i carichi e rendere più efficienti i trasporti, e hanno avviato il risiko delle fusioni e delle acquisizioni.

Verso una nuova tornata di aggregazioni. E Hanjin finirà in pancia a un concorrente – Il settore dei trasporti marittimi di container, che al netto del caso Hanjin, ha già registrato nel 2016 una perdita complessiva di 4 miliardi di dollari, negli ultimi due anni ha visto il consolidamento di alcuni dei più grandi operatori al mondo: Cosco Container Lines e China Shipping Container LinesHapag-Lloyd e CsavHapag-Lloyd e United Arab Shipping CompanyCma-Cgm e Apl. Mentre dal prossimo anno le maggiori alleanze passeranno da quattro a tre: Ocean Alliance, che raccoglierà complessivamente la quota di mercato maggiore, 2M Alliance, che manterrà il suo focus principale in Europa e Asia, e The Alliance, che sarà attiva con più forza nelle rotte del Trans-Pacifico. Secondo gli esperti un secondo round di aggregazioni partirà entro il 2020, e porterà a un’ulteriore riduzione degli operatori nel 2025, quando potrebbero essere addirittura in sei a spartirsi tutto il mercato. Il destino di Hanjin è invece già segnato: dapprima nelle mire della conterranea Hyundai Merchant Marine, che tuttavia sta attraversando anch’essa una profonda ristrutturazione, potrebbe invece essere rilevata in toto o nei suoi principali asset, insieme a Hyundai, dal primo carrier mondiale, vale a dire la danese Maersk. L’ipotesi, rilanciata dalla banca d’investimento Jefferies negli ultimi giorni, ha provocato un rimbalzo del 30% delle azioni di Hanjin alla Borsa di Seul.

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