“Volevo riprendermi la gioia di andare a lavorare la mattina e quando mi hanno offerto un posto di lavoro a Dubai sono saltato sul primo volo”. A raccontarsi a ilfattoquotidiano.it è Fabio Tonti, nato a Rimini 39 anni fa. Dopo una laurea in ingegneria elettronica presa a Bologna con il massimo dei voti, non aveva avuto problemi a trovare un buon lavoro vicino casa: “Sono stato assunto come sales area manager in una grossa multinazionale, dove ho lavorato per cinque anni”. Niente male come inizio, eppure nel giro di poco tempo Fabio comincia a sentire i primi campanelli di allarme: “Mi sono reso conto che dopo aver imparato le cose fondamentali il lavoro era diventato routinario e l’azienda non aveva alcun interesse a investire sulla professionalità dei suoi dipendenti. Magari a molti va benissimo così – aggiunge –, io però sentivo il bisogno di nuovi stimoli”.

Allora decide di rimettersi in gioco da solo: “Mi sono iscritto a un master con l’intenzione di migliorare le mie capacità in campo manageriale, ma alla fine del corso nessuno dei miei superiori mi ha chiesto se avevo imparato qualcosa che potesse essere utile all’azienda”, ricorda. Molte le ragioni alla base di questo disinteresse: “In Italia se sei bravo diventi un problema – sottolinea -. In quegli anni ho visto molte persone capaci mandate via in malo modo, solo perché il loro talento metteva i bastoni tra le ruote ai superiori”.

“In ho visto molte persone capaci mandate via in malo modo, solo perché il loro talento metteva i bastoni tra le ruote ai superiori”

Già, perché in Italia ognuno sembra interessato solo a mettere in luce il proprio operato: “Nelle aziende italiane i manager dei vari dipartimenti tendono a farsi la guerra per dimostrare che uno è più bravo dell’altro – racconta -, e pur di risaltare si prendono sempre tutto il merito”. Addio etica del lavoro: “Tendono a far passare i membri del loro team per dei buoni a nulla, a discapito della collaborazione”, spiega.

Così, quando è spuntata la possibilità di lavorare a Dubai, Fabio non ci ha pensato su due volte. E dopo due anni e mezzo negli Emirati Arabi non può che dirsi soddisfatto: “Sono stato assunto come gestore della catena di distribuzione (supply chain) da un’azienda che si occupa di packaging per l’alimentare, ma in realtà il mio lavoro abbraccia vari settori e questa è la cosa più stimolante”, spiega. E a Dubai s’investe sull’individuo: “I dirigenti cercano di mettere in risalto le capacità di tutti, anche perché così ci guadagna anche l’azienda”.

“Ogni anno riesco a risparmiare cinque volte di più di quanto non facessi in Italia”

E a lui piace vivere nella città degli Emirati. “La città è pulita e organizzatissima, io non ho la macchina e vivo benissimo”. La sicurezza, poi, “è ai massimi livelli”. Un esempio? “Se ti scordi il cellulare sul taxi o in un bar puoi star certo che ti verrà restituito”. Il costo della vita è molto alto, ma è più che rapportato agli stipendi: “Ogni anno riesco a risparmiare cinque volte di più di quanto non facessi in Italia”, sottolinea.

E anche l’aria che si respira è piacevole: “La gente è ottimista, serena. In Italia vedevo solo musi lunghi”. Ma nonostante l’entusiasmo, un po’ di nostalgia c’è: “Per quanto ti possa trovare bene all’estero, nessun luogo sarà mai come casa tua – ammette -, ma nella vita bisogna sempre vedere cosa perdi e cosa guadagni. Per quanto mi riguarda, da questo trasferimento ho guadagnato tantissimo”. Per questo ai giovani consiglia di fare un’esperienza fuori: “Ovviamente ognuno deve guardarsi dentro e capire se è una cosa che fa per lui – sottolinea -, ma io credo che stare lontani da casa per un po’ sia utile a tutti e non solo per aggiungere qualcosa in più sul proprio curriculum”.

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