ALBENGA – Il teatro fatto all’interno delle serre non può che dare buoni frutti. Non perché sia protetto ma perché è concime di idee future, humus per concezioni di domani, fermento di parole nuove, innesti e vitalità necessaria. Settimo anno per la rassegna Terreni creativi (3-5 agosto) della compagnia Kronoteatro (quest’anno vincitori del premio Radicondoli) sempre attenta ai segni, ai messaggi, alla sagacia senza lamentele: quest’anno il logo era un bicchiere con poco succo al suo interno e una mano che continua a spremere limoni su limoni. Il limone è giallo positivo ma è anche aspro e astringente e molti agrumi strizzati danno alla fine poca linfa da bere.

Terreni creativi

E’ l’immagine che dà il quadro della situazione dei Krono (per realizzare il programma quest’anno sono dovuti ricorrere al crowdfunding cittadino) che, oltre alla stagione invernale, mettono a punto ogni anno questa tre giorni nella quale riescono a portare in Liguria il meglio del teatro contemporaneo italiano: Teatro dei Venti, Balletto Civile, i Sotterraneo, Gli Omini, Simone Perinelli e Le Viedelfool, i Fratelli Dalla Via. Su questi ultimi due concentreremo il nostro sguardo. Di Simone Perinelli (con il consueto fondamentale apporto di Isabella Rotolo) conosciamo il percorso che, proprio partendo da questo personalissimo Pinocchio, lo ha portato nelle viscere di personaggi a lui affini: Ulisse, Don Chisciotte, Van Gogh, dove l’essere solitario è scelta e condanna, ricerca ed emarginazione, che l’intorno è troppo piccolo e chiuso per poter includere occhi che vagano oltre, aspirano ad altro.

Il suo è un corpo a corpo con il teatro fatto di prese a terra e mosse e morse, ganci senza mollare mai, la sua è una lotta greco-romana con parole arcaiche fatte risuonare nelle casse toraciche dell’oggi, sillabe che si perdono nel cosmo del già detto alle quali concede nuova vita. Perinelli salta, ride, scatta in azioni autistiche, cerca la trance agonistica, cavalca la tigre che lo monta, che lo morde. Come se fossimo al processo che deve assolvere o condannare il burattino collodiano che, dopo essere stato di legno e dopo essere diventato di carne ed ossa, si pente e vorrebbe ritornare manichino.

Pinocchio-Perinelli è un folle lucido colmo di adrenalina, “il vostro vivere si chiama sopravvivere”, che si tira la maglia come a volersi strappare di dosso la pelle, è Lupin e Rocky, è Forrest Gump, corre sul filo dell’impazienza riuscendo a provocare brividi e commozione, aprendo quelle porte nascoste che teniamo chiuse a doppia mandata dentro di noi per paura della verità. In questo Requiem per Pinocchio c’è il sole in faccia dell’adolescenza, la scanzonatura dell’hip hop, la forza propulsiva della carne alla catena che spinge, del vulcano che ribolle ribelle. Il suo Pinocchio è altamente “politico” e risente di Amleto e fa eco con Moby Dick; devi ascoltarlo per farti smantellare le logiche preconfezionate.

Requiem-for-Pinocchio

Perinelli ha il coraggio di stare, dritto come bagnarola tra i flutti, lasciandosi infrangere nella sua impotenza felice, facendosi schiaffeggiare e colpire, fa da parafulmini alle nostre debolezze, e vedere sulla scena le sue contromosse da capopopolo, i suoi gesti compulsivi, rilascia endorfine e stimola alchimie nascoste in una pelle d’a elettrica che accomuna tutta la platea. Nei suoi zigomi inarcati, nelle sue pupille infossate il suo sguardo è ammaliante e non lascia scampo né possibilità di fuga, ci inchioda alle nostre finte scelte pseudoconsapevoli precostituite decise da altri per noi, il nostro essere spot e frasi fatte, ci mette con le spalle al muro. Perinelli è il John McEnro dei monologhisti, è generoso e impulsivo, energico fiore di cactus, è un condottiero sulla biga che frusta le parole facendole correre all’impazzata, è la tipologia d’attore che tutti vorremmo vedere, è l’attore che ogni spettatore si merita di poter incontrare sulla scena.

Se Perinelli è sangue caldo, il Drammatica Elementare dei Fratelli Dalla Via è forma, più letteraria che teatrale, ben costruita e architettata ma che rischia di rimanere calembour estetico più che affondare nella materia che affrontano: il nord est leghista in una ricostruzione a flash passando dalla Dc al partito di Bossi, dall’allergia al fisco dei piccoli imprenditori fino alle basi Usa. Prima ogni frase è composta da una parola per ogni lettera dell’alfabeto per poi scivolare bergonzonianamente in frasi composte tutte da parole che cominciano con la stessa lettera.

Nelle loro tute, una sotto l’altra, prima da prigioniero di Guantanamo, poi una sorta di metalmeccanico, infine da marinai, si percepisce il gioco alla Rodari, lo stile alla Gadda o lo stimolo alla Eco in un’ambientazione alla De Amicis (banchi di scuola) e il risultato prima incuriosisce e affascina poi stanca ed affatica prima di entrare in un loop di senso patafisico e lasciarsi trasportare in questo torrente linguistico, in questo riuscito esperimento semantico di virtuosismi estremi bartezzaghiani da operai specializzati dell’Accademia della Crusca dadaista. Se i Dalla Via sono i girasoli, Simone Perinelli è l’orecchio tagliato.

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