C’è una svolta nell’omicidio di Giuseppe Nista, pregiudicato legato alla criminalità calabrese e fratello di un collaboratore di giustizia, ucciso a Vimodrone, provincia di Milano, il 10 maggio 2012 (leggi). Dopo quattro anni i carabinieri del Nucleo investigativo di Monza hanno arrestato il presunto assassino. Si tratta di Emilio Colantuoni, 55enne di Paullo, anche lui pregiudicato: incastrato da alcune intercettazioni e dalle tracce di Dna raccolte da una tazzina di caffè che combaciano con quelle trovate sul casco e nei guanti usati dal killer che quel giorno entrò in azione.

Sono le 8 e 40 di quel 10 maggio. Una Bmw station wagon bianca è all’incrocio tra la via dei Mille e via IV Novembre. Pieno centro di Vimodrone. Chi guida non si accorge che per tutto il tragitto due persone, entrambe con il casco integrale, lo hanno seguito a bordo di un grosso scooter nero. Quando l’auto si ferma, il passeggero dello scooter scende, si avvicina allo sportello e fa fuoco in mezzo alla strada come se si trattasse di un tiro al bersaglio, sotto gli occhi delle persone che vanno al lavoro e delle mamme che accompagnano i figli a scuola. Tutti i colpi calibro 7 e 65 vanno a segno. Ma il conducente della Bmw è ancora vivo. Tenta di ingranare la retromarcia e mettersi in salvo. Invano. Perché il sicario è più veloce, preme di nuovo il grilletto e questa volta riesce a freddare il “bersaglio”. I due uomini in nero svaniscono come fantasmi lasciando inchiodato al sedile dell’auto Giuseppe Nista, 44 anni, di Melzo, che muore tre ore dopo al Policlinico di Milano.

Un agguato in stile mafioso contro una figura che gli investigatori conoscono bene. Non solo perché Nista è un pregiudicato per droga vicino alla criminalità calabrese. Ma soprattutto perché è fratello di Domenico Nista, detto “Tyson”, arrestato nel 2005 per traffico di stupefacenti e che a partire dal 2007 inizia a parlare con i magistrati. Di cosa? Di ‘ndrangheta e dei suoi affari nelle operose province di Milano e Monza. Un argomento che ai tempi era ancora un tabù per alcuni esponenti politici che negavano l’infiltrazione delle ‘ndrine in Lombardia. Poi nel luglio 2010 arriverà la maxi inchiesta Infinito: la conferma definitiva che anche nelle ricche terre lombarde la ‘ndrangheta c’è da tempo, fa affari e quando c’è da sparare non si tira indietro. Come quattro anni prima dell’omicidio di Giuseppe Nista, quando venne ucciso un pezzo da novanta come il boss secessionista Carmelo Novella, fondatore – secondo gli inquirenti – della locale di Pioltello che sognava un’organizzazione tutta lombarda, autonoma rispetto alla madrepatria Calabria. Un’ambizione che gli costò la vita. Venne freddato il 14 luglio 2008 mentre beveva un cappuccino in un bar a San Vittore Olona (leggi). Un delitto eclatante che fa temere una guerra tra i clan. Stesso timore che si vive quando viene ucciso Nista. Ancora oggi, però, il movente non è chiaro. Due le ipotesi sul tavolo: Nista è stato eliminato per questioni legate al traffico di droga o per una vendetta trasversale nei confronti del fratello “pentito”. Così come rimane sconosciuto il nome del complice di chi quel 10 maggio 2012 ha sparato.

Il lavoro certosino del Nucleo investigativo – guidato prima dal colonnello Giuseppe Spina, poi dal colonnello Rodolfo Santovito, e coordinato dal sostituto procuratore di Monza Alessandro Pepè – è partito dalle testimonianze dei passanti che quella mattina videro in presa diretta l’agguato. Le telecamere sparse per Vimodrone sono state passate al setaccio. Ma un indizio importante i militari lo raccolgono da un cassonetto dove il killer ha gettato i guanti e il casco dopo un guasto allo scooter che lo ha costretto a fuggire a piedi. E’ da lì che viene estrapolato il Dna. Nonostante questo, però, le indagini viaggiano su un binario morto.

Fino all’inizio di quest’anno. Emilio Colantuoni entra nel mirino dei carabinieri che si trasformano nella sua ombra. Colantuoni lavora come dipendente di una carrozzeria di Milano. Ha precedenti per armi e droga. E’ costantemente pedinato. L’occasione buona si presenta quando entra in un bar per bere un caffè. Subito dopo si materializzano i militari, che riescono a raccogliere un campione di Dna dalla tazzina. La traccia viene affidata agli specialisti del Ris di Parma. Viene confrontata con quella trovata su guanti e casco. Coincide. Tradotto: secondo gli inquirenti la mattina del 10 maggio 2012 a sparare è stato Colantuoni. Non solo. Nelle mani dei carabinieri c’è un altro elemento ritenuto fondamentale: un’utenza telefonica riconducibile al pregiudicato, un’ora dopo gli spari, aggancia la cella telefonica dove è andato in scena l’omicidio. Inoltre, i carabinieri ricostruiscono che Colantuoni, all’epoca dei fatti, era socio di una terza persona, pregiudicata per droga, a sua volta legata da rapporti di lavoro a Giuseppe Nista.

I detective dell’Arma sono convinti di avere imboccato la pista giusta. E’ a questo punto che arriva un’intercettazione considerata decisiva. Al telefono ci sono Colantuoni e la moglie. Il 55enne racconta alcune circostanze dell’omicidio e della fuga. E fornisce la conferma – per gli inquirenti – che è lui l’esecutore materiale. Durante la perquisizione nella casa di Paullo e all’interno di due box viene trovato uno scooter di grossa cilindrata, marca Suzuki, modello Burgman, che risulta rubato, ed è simile a quello usato durante l’agguato. Adesso Colantuoni si trova nel carcere di Monza, dopo l’ordinanza firmata dalla giudice per le indagini preliminari Centonze. All’appello manca sempre un complice e un movente.

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