La televisione tradizionale, quella che troneggia in casa e che è gestita col telecomando, non è affatto emarginata dalle nuove piattaforme fisse e mobili (computer, tablet, smartphone) che ormai la circondano e che, passando su internet moltiplicano le modalità di consumo dei prodotti (quando mi pare, dove mi pare, eccetera). Quella che si sta verificando è piuttosto la progressiva interazione fra lo schermo del salotto (o del tinello, della cucina, della stanza da letto) e tutti gli altri schermi grandi e piccoli. Talvolta è il primo che risucchia quel che emerge fra i secondi (si moltiplicano ad esempio i programmi realizzati a partire dalle rivelazioni autogestite che compaiono su You Tube), talaltra è invece internet, e principalmente You Tube, che preleva pillole e citazioni estratte dal flusso della tv maggiore. Siamo in sostanza a un sistema binario flusso-rete dove non si emargina alcunché, ma anzi si sfruttano i prodotti come fossero quel famoso maiale di cui non si butta niente.

Ancor meno emarginata, in questo panorama, è quella particolare tv di flusso che viene denominata generalista, perché rivolta a un pubblico allargato anziché alle nicchie di generi e passioni. Ma non si è generalisti per contenuto bensì per posizione: sul telecomando. Puoi proporti infatti come generalista solo se figuri fra i primi nove numeri del telecomando, e cioè ai canali a cui si dà la prima occhiata per vedere cosa passa il convento. Ed è qui che si trattiene il grosso, circa il 70%, degli spettatori. La conseguenza è che è lì che si decide chi incassa il grosso della pubblicità indirizzata sulla tv. Un tempo, anzi, era scontato che la partita si decidesse entro i soli primi sei tasti, quelli del duopolio Rai-Mediaset, mentre i residui tasti fino al nove erano il semplice alibi posticcio per fingere un pluralismo negato nei fatti. Oggi siamo di fronte a un panorama diverso, anche se solo tendenzialmente: La7 è un po’ cresciuta e due grandi gruppi, Sky e Discovery, sono sopraggiunti a popolare il tasto 8 e 9. In più, sembra possibile che la Rai, avendo ottenuto maggiori certezze dal lato del canone, possa diminuire drasticamente la sua pubblicità sia come numero di spot sia per qualche centinaio di milioni di euro di ricavi.

Quanto basta per aprire lo spazio alla concorrenza? Mica tanto, se non intervenissero nuove strategie di alleanza produttive e commerciali. Infatti si confronterebbero tre sfidanti generalisti monocanale e cioè La7, TV8 e NOVE col vecchio dominatore Mediaset ancora forte dei tre canali numerati 4, 5, 6. E così i tre sfidanti finirebbero come i tre Curiazi, che uno per uno affrontassero i tre Orazi uniti e più vispi che mai. A meno che i Curiazi, anziché correre ognuno per conto proprio, non facessero anch’essi gruppo, coordinandosi sul piano commerciale per servire meglio i clienti e sul piano produttivo per strappare sostanziali quote di pubblico (al di là dello scarso 5% che i tre mettono insieme oggi). E sempre che fra i tre Curiazi non corrano contrasti insanabili, come spesso capita tra fratelli, anche di disgrazia.

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