La vicenda del salvataggiodelle quattro banche è scandalosa da qualsiasi punto di vista la si consideri. Ai lettori di questo giornale sono noti gli errori commessi, oltre che dal management delle banche coinvolte, dalla Banca d’Italia, dall’Abi, dagli organismi di vigilanza dei mercati finanziari, dal governo italiano, ed è ormai chiaro che questi errori sono costati parecchi miliardi di euro ai risparmiatori italiani (attraverso il crollo delle azioni del comparto bancario) e la vita a uno di essi (sperando che finisca qui).

Tanti errori diversi con una radice comune: l’essersi rifiutati di ammettere la natura sistemica della crisi bancaria, cioè, in altri termini, i problemi creati dall’euro alla nostra economia e quindi alle nostre banche. A valle di questo peccato originale, puramente ideologico, ne sono poi successe di ogni: dal comportamento incomprensibile dell’Abi, che nel 2012, quando la Commissione Europea domandava se fosse opportuno dare alle persone il tempo di informarsi, replicava con piglio virile che le norme sull’esproprio andavano applicate senza indugio (al punto 9 di questo documento); alla negligenza altrettanto incomprensibile delle istituzioni italiane tutte, che non si sono minimamente poste il problema di informare i risparmiatori del cambio di regole, nonostante fossero state allertate dall’Autorità bancaria europea sugli evidenti rischi che il collocamento di certi prodotti stava creando (ma certo, se i risparmiatori avessero saputo, ricapitalizzare le banche a loro spese sarebbe stato meno facile); per finire al folklore locale (intrecci familiari, comportamenti collusivi, ecc.), sul quale non sono competente, ma che una sua rilevanza indubbiamente ce l’ha.

Firenze, manifestazione Risparmiatori Uniti in Piazza della Repubblica

Chi aveva gli strumenti culturali per capire (i funzionari di Abi, Bankitalia, governo), e doveva quindi esortare a prendere cautele non l’ha fatto quando poteva farlo, nonostante gli ammonimenti dell’Europa. La stessa Europa alla quale noi cittadini, secondo le nostre istituzioni, dobbiamo sempre dar ascolto. Le istituzioni, invece, possono evidentemente fare a meno di ascoltarla, sapendo che, se si distraggono, il conto lo pagheremo comunque noi. Sono ovviamente le stesse istituzioni che negli ultimi vent’anni hanno suonato a pieni polmoni la fanfara dell’euro, “moneta forte che protegge i risparmi”!

Propaganda sì, informazione no: come avrebbero potuto i risparmiatori formarsi un’opinione consapevole?

È quindi censurabile il comportamento dei tanti opinionisti di maggiore o minore spessore che fin da dicembre scorso hanno cercato di rivoltare la frittata, imputando alla mancanza di “educazione finanziaria” degli italiani il disastro in corso. Intervenendo sul Fatto Quotidiano dell’8 gennaio scorso Giorgio Meletti ha detto parole definitive sul tema, sgretolando la proposta di Alberto Alesina di rilasciare una patente di educazione finanziaria a ogni cittadino. Ma l’assurdità di questa proposta emerge ancora meglio se, turandosi il naso, la si prende sul serio.

Immaginiamo che un governante illuminato accolga la proposta dell’Alberto nazionale (Alesina, come i lettori del New York Times ben sanno): trasformiamo l’Italia in una repubblica dei filosofi, dove si vota al referendum sul nucleare solo se si ha un dottorato in Fisica, ci si accoppia solo se si dispone di una laurea in biologia, e, naturalmente, si entra in banca solo esibendo il patentino di educazione finanziaria. Se c’è un patentino, ci sarà chi lo rilascia. Si pone allora la domanda di come scegliere gli esaminatori, problema non banale, considerando che le nostre élite ultimamente non hanno dato ottima prova di sé.

Supponiamo che il compito di selezionare uno di questi docenti tocchi a noi. Vi chiedo: voi chi incarichereste di un corso di educazione finanziaria?

Uno che nel 1997 diceva: “L’euro è un rischio che non dovremmo correre”, perché “i benefici puramente economici di un’unione monetaria sono molto piccoli, mentre i costi potrebbero essere piuttosto grandi”? O uno che nel 2008 diceva: “I mercati finanziari sono sempre più interconnessi ma le ripercussioni in Europa riguarderanno soprattutto quegli istituti e quelle società più esposte con Lehman Brothers. Non si può parlare di un rischio generico per l’Europa. Mi stupirei se l’Italia si trovasse in difficoltà serie”?

Scelta difficile, non è vero?

Bè, vi tolgo d’impaccio.

Comunque scegliate, ovvero, sia se optiate chi, nel 1997, vedeva lungo, sia per chi, nel 2008, non aveva evidentemente capito nulla, scegliereste sempre il meglio.

Ma sì, certo! Perché sia il primo che il secondo collega sono sempre lui, il nostro Alberto, quello del patentino. Lui, nel 1997, era contro l’euro, definendolo un progetto rischioso (come potrete leggere, ovviamente in inglese, a p. 301 di questo documento), mentre nel 2008 ci spiegava che non correvamo alcun rischio, perché la situazione era diversa da quella del 1929 (il che in un certo senso è vero, perché la crisi sta durando molto di più). Nel 2011, poi, rincarava la dose chiarendoci il problema: non era più l’euro a essere un rischio per noi, ma noi un rischio per lui, perché privi di spirito europeo, cioè di una reale volontà di procedere verso gli Stati Uniti d’Europa. Peccato che nel 1997 esattamente quello stesso spirito ad Alesina sembrasse, come è, antistorico: “qualcuno sostiene che l’unione monetaria sia semplicemente un passo verso il vero obiettivo di una unione politica europea. Io sostengo che questo sarebbe contrario alla storia” (ipse dixit).

Che ne dite? Spettacolare questa inversione a U sull’autostrada della storia, vero? Certo, da un docente di “scuola guida finanziaria” ci aspetteremmo una condotta più prudente. Dite che è un caso isolato? Mica tanto! C’è di meglio…

Parliamo di prudenza, di valutazione del rischio, no? “L’avido pensionato se l’è cercata perché non ha valutato il rischio…”: questa è la storiella che ci raccontano, giusto? Bene. Allora, chi vorreste come insegnante di prudente condotta finanziaria: uno che nel 2002 diceva “abbiamo valutato se paesi come il Portogallo e la Grecia dovrebbero preoccuparsi e prendere misure per ridurre il loro indebitamento estero, concludendo che in prima approssimazione non è necessario”, o uno che nel 2015 diceva “il motivo per il quale la scoperta che i conti della Grecia erano truccati ha scatenato una crisi così enorme è che negli anni precedenti l’indebitamento estero dei paesi dell’Eurozona era stato eccessivo”. Anche in questo caso, non c’è l’imbarazzo della scelta: l’autorevole collega è lo stesso, il coautore di Alesina, Francesco Giavazzi, che nel 2002 si rallegrava di come l’euro avesse finalmente liberalizzato i movimenti di capitali, permettendo al Sud Europa di indebitarsi (trovate tutto qui), mentre nel 2015, col senno di poi, viene a dirci che forse non era poi un’ottima idea.

La sintesi? Quella di Meletti. Non abbiamo un problema di educazione finanziaria del popolo. Abbiamo un problema di deontologia professionale delle élites. Cambiare idea è senz’altro lecito. Ma affinché non sembri un’operazione puramente opportunistica, forse sarebbe opportuno ammettere di aver commesso qualche lieve errore di valutazione. Chi, invece di fare questa doverosa operazione di onestà intellettuale, si assume senza colpo ferire la paternità di analisi altrui, o addirittura arriva a scaricare la responsabilità di certi errori su chi ne è stato vittima, mi mette, lo confesso, a disagio.

E voi che ne pensate?

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