Fino a tre anni fa riceveva una richiesta al mese. Poi sono diventate 15. Oggi ne ha 15 alla settimana. Tutti lo chiamano perché Stefano Potortì, 42 anni, è un esperto di ristorazione a Londra e di mestiere aiuta le persone che vogliono aprire qui un’attività. Calabrese, laurea in Economia aziendale all’università di Pisa, poi una specializzazione in marketing, una passione per il mondo del cibo. Non immaginatevi Masterchef e i cuochi prezzemolini da tv. Qui si parla di cose serie. Potortì è un manager, mastica numeri e prepara businessplan. Si è fatto le ossa lavorando per la catena di Obika, i “mozzarella bar” inventati da Silvio Ursini. Nel 2009 si è messo in proprio con la SagitterOne. Adesso con lui lavorano 10 persone. Cosa fanno? Tutto. Trovano il luogo, fanno il piano, chiedono i permessi, trovano lo staff (c’è anche la Sagitter Training, che organizza stage per studenti).

Detto così sembra facile, ma in una città come Londra, che gira a mille e dove la concorrenza è spietata, pochi posso permettersi di provarci. Gli italiani, per il fatto stesso si essere italiani, pensano di avere il cibo nel sangue. E pensano anche che il brand “Italia” basti da solo a garantire il successo. E qui casca l’asino. Poteva funzionare fino a una 15 anni fa. Oggi è tutto diverso. E’ andata male anche a uno chef come Bruno Barbieri, quello di Masterchef. Nel 2012 era sbarcato nella City con il “Cotidie”. Doveva fare il botto, è stato un flop clamoroso. Dopo un anno e mezzo Barbieri ha venduto le sue quote e se n’è tornato a Bologna.

Chi è cstefano potortìhe la chiama?
Negli ultimi tempi è cambiata la tipologia. Prima erano solo giovani. Ora si è alzata l’età media e c’è una nuova categoria che è brutto definire così, ma non vedo altro modo: i disperati. Li dividerei in due fasce: i 18-26enni e i 27/40enni.

Cominciamo dal primo tipo: i 18 e i 26 anni.
Vengono per cercare lavoro, credendo di trovarlo in due giorni. Sbagliato. Non è più così facile. Anche per fare i camerieri c’è sempre più competizione e bisogna essere dei professionisti. C’è una forte concorrenza dall’est, polacchi, rumeni soprattutto.

Ma i camerieri italiani rimangono i più richiesti?
Hanno un buona reputazione, ma i ventenni arrivano senza neppure sapere l’inglese. Gli italiani sono i peggiori con le lingue. E poi è una generazione meno abituata a risolvere i problemi e si demoralizzano presto.

Bamboccioni?
Noi siamo cresciuti giocando in strada. Questi alla prima difficiltà chiamano la mamma. Che gli dice: chi te lo fa fare, torna a casa che c’è il sole, si mangia bene e tanto c’è la nonna con la pensione.

Invece la fascia dei 27- 40enni?
Sono la novità, ma anche loro hanno le idee poco chiare. Hanno 15-20mila euro e vogliono iniziare un’attività. Ma a Londra con meno di 200-250mila sterline (350mila euro) non ci puoi neppure provare. Non è più il tarallucci e vino di 15 anni fa. Ci sono un sacco di opportunità, ma la competizione è altissima. Quando spieghiamo le crifre, il 95 per cento spariscono. L’altro 5 per cento viene almeno a dare un’occhiata e poi lascia perdere. Di quelli che ho visto in giro, solo un paio ce l’hanno fatta.

Con 20mila sterline cosa fai?
Puoi aprire una bancarella. Qualcuno prova con lo Street Food. Noi li aiutiamo fornendo una lista delle cose da fare. Poi si arrangiano da soli. La burocrazia in Inghilterra è molto snella e le pratiche si fanno velocemente. Una società di apre con qualcosa come 15 sterline. Il difficile comincia dopo.

Da Il Fatto Quotidiano del 7 marzo 2016

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