Polveri sottili, tutti contro tutti. Il Comune chiama in causa la Regione, la Regione chiama in causa lo Stato e Bruxelles. Ma alla fine, in mancanza di precise regole di intervento, la patata bollente torna nelle mani delle città. Che agiscono ciascuna a suo modo. Il caso è quello della Lombardia, dove Milano ha adottato la decisione più drastica, con il blocco del traffico per tre giorni. Ma la confusione regna in tutta Italia: c’è chi ha seguito l’esempio milanese, come Pavia, chi ci ha pensato ma poi ha virato sulle targhe alterne, come Roma, chi ha soltanto incentivato l’uso dei mezzi pubblici, come Torino. L’unica certezza è che non esiste una regola comune che stabilisca come intervenire in questi casi. E proprio in questi giorni, si organizzano una serie di tavoli per coordinare le azioni dei vari enti locali, nella speranza di trovare quell’unità di azione che finora è mancata.

L’esempio più chiaro, in questo senso, si può trovare in Lombardia e, in particolare, a Milano. Qui, il Comune ha deciso il blocco del traffico per tre giorni, dal 28 al 30 dicembre. “E’ evidente che manca un coordinamento – spiega a ilfattoquotidiano.it Pierfrancesco Maran, assessore all’Ambiente di Milano – A livello legislativo, la delega della qualità dell’aria è affidata alle Regioni. Prima di attuare il blocco, abbiamo sollecitato Regione Lombardia a prendere misure su un’area più vasta, anche perché tutti gli esperti concordano che questi interventi sono tanto più efficaci quanto più grande è l’area dove si effettuano. Abbiamo deciso di agire con il blocco del traffico dopo che è stata rifiutata una misura più ampia”. E aggiunge: “A livello di città metropolitana, abbiamo provato a dotarci di un protocollo per tutti comuni. Ma visto che la delega è in mano alla Regione, il protocollo non scatta come obbligatorio e ogni volta bisogna andare di comune in comune a chiedere la conferma dell’adesione”. Sulla stessa linea, l’intervento del sindaco Giuliano Pisapia, che dalle colonne di Repubblica è passato all’attacco, sostenendo che il Comune “in questi anni è stato lasciato a combattere da solo”. E ha puntato il dito contro il Pirellone: “Alla Regione chiediamo di smetterla di blaterare e di fare finalmente qualche intervento su scala più ampia”.

Alle accuse del sindaco milanese replica Claudia Terzi, assessore all’Ambiente di Regione Lombardia. “A Pisapia sfugge che nel tempo gli interventi li abbiamo fatti e continuiamo a farli – è la sua replica – Le misure efficaci sono quelle strutturali, che però non hanno effetti nel breve periodo. E non sono i passi da prima pagina o spot elettorale di Pisapia”. L’assessore ricorda gli interventi previsti dal piano regionale per la qualità dell’aria, adottato nel 2013: secondo il primo monitoraggio sulla sua attuazione, diverse misure sono già stati realizzate, come esenzioni fiscali per veicoli a bassa emissione, limitazioni per le vetture più inquinanti, incentivi all’installazione di filtri antiparticolato. “I blocchi a spot del traffico sono poco efficaci – incalza Terzi – Dati alla mano, è stato verificato che non abbattono le emissioni nei periodi di blocco e implicano picchi di aumento nei giorni successivi. Possono servire per richiamare l’attenzione su una situazione difficile, ma non sono risolutivi”.

A fare chiarezza ci prova Guido Lanzani, responsabile dell’unità organizzativa qualità dell’aria di Arpa Lombardia (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente), organo di natura tecnica. “Il problema dell’inquinamento atmosferico non è legato alle emergenze, è un problema di lungo periodo che va affrontato con provvedimenti strutturali – spiega l’esperto – E’ quello che si fa ed è quello che dice la legge. C’è un autorità competente, Regione Lombardia, che ha fatto il piano di risanamento della qualità dell’aria, permettendo di avere risultati su scala di lungo periodo, come si evince anche dai dati: c’è un trend di miglioramento su scala pluriennale, le polveri sottili stanno diminuendo”. Detto questo, ben vengano le iniziative di ciascun Comune: “Le singole amministrazioni fanno interventi positivi, che contribuiscono a limitare il problema, ma in quanto circoscritti nello spazio e nel tempo, rimangono parziali e limitati, non possono fare miracoli. In questo senso, non c’è da stupirsi che non esista un protocollo unico, perché quello che c’è di unico e solido è il piano di risanamento. Poi è chiaro che più si agisce di concerto, meglio è”.

Ma non è finita qui. Perché dalla Lombardia, la ricerca delle responsabilità vola ai piani sempre più alti, fino ad arrivare a Roma e poi Bruxelles. “Io avevo chiesto all’allora ministro dell’Ambiente Andrea Orlando – ha affermato il governatore Roberto Maroni – di fare un incontro con tutte le Regioni interessate per definire un piano della pianura padana per la qualità dell’aria, da sottoporre poi all’Unione europea, per avere risorse adeguate per un intervento mirato in relazione alla specificità di questo territorio. Abbiamo riproposto la cosa al ministro Galletti, ma fino ad ora non ha avuto seguito”.

Da parte sua, il titolare dell’Ambiente ha ammesso la confusione di questi giorni, affermando la necessità di una strategia comune. “La nostra risposta deve essere coordinata e di sistema, non in ordine sparso”, ha spiegato il ministro. E così ha convocato per mercoledì 30 dicembre una riunione di coordinamento degli interventi contro lo smog nelle città italiane, invitando i presidenti di Regione, i sindaci e il capo della protezione civile Fabrizio Curcio. “La riunione di mercoledì sarà il momento per confrontare la riuscita delle varie iniziative adottate in questi giorni e per trovare un metodo unico di procedere da qui in avanti”, ha aggiunto il ministro. Iniziativa analoga anche in Lombardia, dove Maroni ha convocato per il pomeriggio del 28 dicembre un tavolo con i vertici di Anci Lombardia e con tutte le principali istituzioni per coordinare l’azione dei Comuni lombardi sulle iniziative antismog.

E mentre i politici si rimpallano le responsabilità, sul campo rimangono i numeri che certificano la gravità della situazione. Una settimana fa, Legambiente ha anticipato alcuni dati del rapporto “Pm10 ti tengo d’occhio”, che segnala le città più inquinate d’Italia. Frosinone vince questa poco invidiabile classifica: nel 2015, il livello di pm10 ha superato per 110 volte i 50 microgrammi per metro cubo. Eppure, la legge permette solo 35 sforamenti all’anno. Tra i capoluoghi di regione, domina Milano con 86 giorni oltre il limite, seguita da Torino con 73, Napoli con 59 e Roma con 49.

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