Di fronte si trova il muro di coloro che vogliono che il Senato resti elettivo: minoranza Pd e Forza Italia, Lega e Autonomie, Sel e M5S, fittiani, Gal ed ex grillini. Un fronte teorico che, se dovesse tradursi in realtà, metterebbe in serio pericolo il cammino del ddl Boschi, che inizia a Palazzo Madama il suo terzo passaggio parlamentare. Non solo: a settembre, alla riapertura dei palazzi, Matteo Renzi si troverà di fronte anche i 513mila emendamenti, in gran parte opera di Roberto Calderoli. Così da una parte e dall’altra di quello che fu l’accordo politico sul quale si basò il cammino delle riforme a inizio legislatura – il patto del Nazareno – si cominciano a intravedere i primi, timidi segnali di riavvicinamento. Un riaffiancamento annunciato dall’accordo tra Renzi e Berlusconi sul nome di Monica Maggioni, nuovo presidente della Rai.

La reciproca apertura avviene ai piani alti dei due partiti. Sono Debora Serracchiani e Giovanni Toti a costruire ognuno sulla propria sponda un primo pezzetto di un futuro ponte sulle pagine de La Repubblica. Entrambi escludono una riedizione del Nazareno, ma entrambi aprono al dialogo. “Dobbiamo parlare con tutti, intendo proprio con tutti”, spiega il vicesegretario dei democratici che, interrogato sull’intenzione del Pd di “risollevare” un Silvio Berlusconi ormai all’angolo, si dice possibilista: “Non abbiamo bisogno di nulla, né cerchiamo di risollevare qualcuno. FI, comunque, ha votato le riforme in passato e non vedo perché non possa rifarlo”. “Avremo i numeri – assicura quindi la presidente del Friuli – se altre forze voteranno le riforme, questo non cambierà la maggioranza parlamentare. Duemila volte questo Parlamento doveva crollare. Siamo qui”.

Volontà di sedersi al tavolo e parlare trapela anche da Forza Italia, che “deve essere pronta a sedere a tutti i tavoli di confronto che il governo intende aprire”, l’apertura del governatore della Liguria. “Il Nazareno è finito – spiega l’ultimo dei pupilli di Silvio Berlusconi – detto questo, l’atteggiamento di FI resta quello di un partito costruttivo e dialogante. Specie quando è la legge a imporlo, come per la Rai. Concordare il nome del presidente era un dovere (…), ma non è il primo capitolo di una nuova storia. E’ un atto unico”. Però “per quanto riguarda la riforma costituzionale, mi auguro che il governo voglia interrompere questo cammino autarchico che lo sta portando a compiere errori”.

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