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Magna Charta, otto secoli e sentirli (in Italia)

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CostituzioneOttocento anni fa, in un prato a poco più di 20 km da Londra, Runnymede, Giovanni Senza terra (il Re di Robin Hood, il fratello cattivo di Riccardo Cuor di Leone anche se, fra tutti e due…) fu costretto dai baroni di Inghilterra a concedere la prima Costituzione conosciuta, la Magna Charta.

Non fu un atto ispirato da coscienza politica e sociale. Semplicemente i baroni si erano ribellati e Giovanni ne aveva bisogno per le sue guerre. Così dovette concedere qualche “garanzia”. Ma che garanzie! Nessun uomo libero avrebbe potuto essere arrestato o giudicato se non da un Tribunale di suoi pari; e nessuna tassa avrebbe potuto essere deliberata se non con l’approvazione di uno speciale Consiglio, composto da nobili ed ecclesiastici. Il che significava la fine del potere assoluto del Re: non avrebbe più potuto eliminare i suoi avversari né con le consuete accuse di tradimento né rovinandoli economicamente. Era prevista un’Alta Corte di Giustizia con il potere di incriminare il Re e muovergli guerra se non avesse osservato questi obblighi; incredibile per quei tempi. E molto altro ancora: il riconoscimento dell’autonomia della Chiesa di Inghilterra, l’abolizione dei monopoli e delle dogane, il divieto di impossessarsi delle terre dei debitori finché il loro patrimonio avesse dato garanzie sufficienti per il pagamento, la libertà per le vedove di non risposarsi, il riconoscimento delle libertà e consuetudini locali, per Londra e ogni altra città. Un documento straordinario. Nessuno, all’epoca, se ne rese conto. Era solo un modo per farla finita con la guerra civile, rafforzare le proprie risorse, aspettare tempi migliori. Eppure funzionò. Non solo, i suoi principi si diffusero in tutto il mondo. La domanda è: perché tutto questo è potuto succedere? La risposta è consolante, almeno in parte: perché nessun potere può restare assoluto per sempre; perché la legge del più forte molto presto si rivela iniqua; perché gli uomini aspirano sempre a un futuro migliore e, dopo ogni catastrofe, ricostruiscono e cercano di evitare che possa ripetersi. Però il potere non arretra mai spontaneamente; e, per metterlo con le spalle al muro, i cittadini devono essere culturalmente attrezzati. Le Costituzioni sono l’arma più forte che hanno. Ma, come tutte le armi, bisogna essere capaci di maneggiarle e bisogna mantenerle in buono stato.

Sembra che, in Italia, questo sia molto difficile. Non c’è sufficiente consapevolezza di quanto una Costituzione sia necessaria. Il caso concreto prevale su tutto, dalla necessità di proteggere chi governa da incriminazioni che potrebbero essere strumentali alle difficoltà economiche che renderebbero necessario non rispettare diritti fondamentali. E questo perché molti non comprendono il valore dei principi: un principio che non si vuole rispettare oggi, magari per ottime ragioni, sarà non rispettato domani per ragioni ignobili. E sarà vano protestare: chi decide quali ragioni giustificano la violazione della Costituzione e quali no? È per questo che, nel nostro Paese, una politica autoreferenziale, corrotta in percentuali incompatibili con il buon governo, ricattatrice e ricattata in egual misura, è impegnata in un assalto continuo alla Costituzione: ne va della sua sopravvivenza. Sta vincendo: l’ignoranza dei cittadini, il loro disinteresse, spesso la speranza di raccogliere qualche briciola del bottino, la favorisce; l’esercito che dovrebbe difenderla è debole. Ricordare quello che successe a Runnymede 800 anni fa potrebbe rafforzarlo; anzi, rafforzarci.

il Fatto Quotidiano, 18 giugno 2015

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