Gli insegnanti più anziani e che lavorano per più tempo, i salari più bassi e i minori finanziamenti statali. E’ questa la fotografia della scuola in Italia messa a confronto con i sistemi scolastici di Spagna, Francia e Germania. A scattarla sono i rapporti annuali Eurydice che permettono di farsi un’idea precisa delle condizioni di salute di cui il sistema scolastico italiano gode oggi, nel momento storico in cui il governo Renzi procede a una riforma fortemente contestata da alunni, docenti e sindacati. Anche in Francia è tempo di cambiamenti strutturali: il Consiglio superiore dell’educazione ha infatti da poco approvato un importante provvedimento in materia di scuola media che ha, come in Italia, mobilitato il corpo docente sceso in piazza a manifestare. Parliamo in ogni caso di un sistema scolastico che, insieme a quelli di molti altri Paesi europei, gode di miglior salute rispetto a quello di casa nostra. Ma andiamo per gradi.

Percentuale docenti attivi nell’insegnamento – I docenti italiani sono i più anziani. Se in Francia gli insegnanti attivi prima dei 30 anni sono l’8,2 per cento, in Spagna il 6,1 e in Germania il 4,3, in Italia il dato è quasi senza possibilità di confronto: solo lo 0,4 per cento dei docenti italiani è già professionalmente impegnato prima dei 30 anni. Al preoccupante ritardo col quale si accede alla professione si aggiungono le altrettanto preoccupanti percentuali in uscita: se infatti in Spagna dopo i cinquant’anni è professionalmente attivo solo il 29,3 per cento dei docenti e in Francia il 32.3, l’Italia svetta su tutti i restanti Paesi dell’Unione con un sonoro 59,3 per cento.

Salari minimi e massimi. Ad aggravare la situazione italiana sono anche i dati circa i minimi e massimi salariali, da inizio a fine carriera: se un docente in Spagna viaggia tra i 32mila e i 45mila euro lordi annui e in Germania addirittura tra i 46mila e i 64mila euro, il docente italiano si accontenta di un minimo di 24mila e un massimo di 38mila euro, quasi la metà di quello tedesco e sempre meno del collega francese, che registra un minimo salariale di circa 25.500 euro e un massimo di 47.500. Qualcuno potrebbe sollevare a questo punto l’ipotesi (immaginifica) per cui il docente italiano lavora, di media, meno dei colleghi europei, ma, come sottolinea il Presidente nazionale di ANIEF Marcello Pacifico, i dati confermano altro: “L’orario d’insegnamento annuale dei docenti italiani è in media rispetto ai colleghi degli altri Paesi”. Anche il Papa è intervenuto sull’argomento bollando il tutto come un’ingiustizia, mentre secondo un rapporto Uil del 2012 “le retribuzioni dei docenti italiani sono costantemente al di sotto della media degli altri Paesi Ue, con uno spread che parte dai 4.000 euro annui all’inizio della carriera, per arrivare ai 10.000 a fine carriera (…) le retribuzioni iniziali dei nostri docenti assicurano un tenore di vita al di sotto di quello medio italiano”.

Finanziamento pubblico all’istruzione. Lampante la differenza che si registra nel finanziamento pubblico al mondo dell’istruzione che si registra tra l’Italia e diversi altri Paesi europei: se nel giugno del 2013 il bilancio francese poteva vantare una spesa di quasi 79 miliardi di euro, nello stesso periodo quello italiano si assestava intorno ai 48 miliardi, poco più della metaà del primo, mentre quello inglese, per una popolazione che conta circa 7 milioni di persone in meno rispetto all’Italia, vantava il corrispettivo di ben 80 miliardi di euro di spesa pubblica. Infine, tanto per tirarci su di morale, ragionando in proporzione la Norvegia spende complessivamente per l’istruzione il triplo dell’Italia: se infatti la spesa norvegese, nel periodo da noi preso in considerazione e su una popolazione di circa 5 milioni di persone, si assesta sui 12 miliardi e mezzo d’euro, basta fare le dovute proporzioni per ottenere il risultato già tristemente annunciato.

Valutazione dei docenti. Direttamente collegato al tema delle retribuzioni è quello inerente le nuove proposte del governo circa la valutazione degli insegnanti. I docenti italiani accetterebbero molto più di buon grado la valutazione del proprio lavoro se lo stesso venisse adeguatamente e più equamente valorizzato. Se infatti in Europa sono al momento solo quattro i Paesi, tra cui l’Italia, a non prevedere alcun sistema di valutazione dell’insegnante (insieme a Scozia, Norvegia e Finlandia), in molti riterrebbero più opportuno scegliere il modello più consono al particolare tessuto sociale e culturale italiano. I modelli francese, tedesco e portoghese per esempio si basano tutti su un sistema misto risultante da una valutazione interna del capo d’istituto coadiuvata da quella esterna dell’ispettorato scolastico. In ogni caso la valutazione dei docenti da parte di alunni e genitori, annunciato in questa nuova riforma, non sembra conoscere precedenti nel resto d’Europa.

Licenziamento. In molti negli ultimi temp, hanno invocato la possibilità di licenziamento per i docenti simili a quelle dei lavoratori impiegati nel settore privato. Se però, anche ora, si va a confrontare l’insegnamento pubblico italiano con quelli dei predetti Paesi europei, i dati confermano identiche dinamiche in ordine di licenziamento che, essendo gli insegnanti funzionari pubblici, risulta essere ovunque un evento molto raro (ad es. nel caso di perdita della cittadinanza).

Classi pollaio. Falso invece, sempre in relazione alla situazione europea, risulta l’allarme relativo alle cosiddette classi pollaio: in questo caso la media italiana, di 21,3 studenti per classe, viaggia in linea con quella europea, che si assesta sui 21,1 allievi.

Assunzione. Passando infine a un altro dei temi bollenti di questi giorni, quello del reclutamento dei docenti, l’Europa si divide tra metodi “aperti”, dove cioè la responsabilità del reclutamento spetta alla singola scuola (spesso però congiuntamente all’autorità locale) e metodi centralizzati, dove cioè la responsabilità della gestione delle assunzioni è tutta demandata all’amministrazione pubblica. Il modello verso il quale il nuovo ddl Scuola si indirizza è quello aperto, seppur però con aspetti preoccupanti. Uno su tutti la responsabilità unica, nella cosiddetta chiamata diretta, del dirigente scolastico che, volendo fare un salto nel passato, trova un precedente nero e buio nella riforma della scuola di epoca fascista. In Germania, come anche in Francia e in Spagna, la responsabilità nelle assunzioni non è demandata alle singole scuole ma gestita dalle autorità pubbliche: in Germania il tutto spetta ai singoli Laender, in Spagna entrano in gioco le comunità autonome e in Francia direttamente il ministero.

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