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Scuola Diaz, la mattanza vista da Franca: ‘In Fuga dal Senato’

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‘Massacro alla scuola Diaz’, dipinto di Dario Fo

Prologo tratto dal testo: “In Fuga dal Senato”, di Franca Rame.

A Genova è successo il finimondo, ma il programma di chi ha in mano lo spettacolo è di gran lunga più ambizioso. Ed è qui che la centrale della polizia diretta dal ministro Fini – ve lo ricordate?! – mette in atto il piatto forte dell’abbuffata, che si chiama Bolzaneto e scuola Diaz. Nella prima, che è una caserma, vengono scaricati tutti i fermati durante i tafferugli. Si saprà dopo che molti di loro verranno malmenati e sottoposti a violenze fisiche e morali, a cominciare dalle donne, che vengono costrette a spogliarsi nude nei corridoi per il solito tendenzioso controllo. E chi si permetteva di ribellarsi a quella provocazione riceveva la solita razione di bastonate e veniva costretto a ritornare chino con la schiena curva e il capo rivolto a terra mentre ai glutei era imposta una posizione indegna.

Franca inizia dicendo:

“Al mattino avevo saputo da un medico dell’ospedale che nella notte, alla scuola Diaz, si era perpetrato un vero e proprio massacro. Al piano superiore si erano sistemati per la notte alcuni giornalisti e fotografi, in maggioranza stranieri, e anche qualche ragazza armata di sacco a pelo. Era già tardi e tutti gli ospiti più o meno si erano addormentati. Un urlo e come furie entrano poliziotti dei reparti mobili di Genova, Roma e Milano e cominciano la mattanza. Ricordo che, qualche giorno dopo, un dirigente della centrale romana davanti allo spettacolo che gli si mostrava esclamò: «Ma questa è una macelleria messicana!». Quando seppi di questo massacro mi feci accompagnare dal medico stesso alla scuola in questione. Fummo bloccati da un servizio di controllo della polizia. Il mio accompagnatore estrasse le credenziali aggiungendo: “Sono il medico di servizio” e ci fecero passare. Salimmo al piano superiore e ci trovammo di fronte a uno spettacolo da incubo. Per terra c’erano pezzi di videocamere, macchine fotografiche distrutte, zaini e resti d’abiti lacerati e soprattutto sangue. Macchie rossastre sulle pareti prodotte da corpi gettati con violenza contro quei muri. Schizzi di sangue perfino sul soffitto e strisce di sangue calpestate, di cui si poteva leggere perfino il passo e la forma delle scarpe”.

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