Sono scandalizzata, signor ministro del Lavoro. Le sue idee, semplicemente, levano la dignità ai ragazzi. Almeno fino ai 18 anni lasciamo gli adolescenti vivere da adolescenti. Il che significa non rubare il loro tempo vergine alla creatività, alla spensieratezza, agli ideali, all’ascolto della musica a tutto volume, alla visione di un film (tre volte di seguito), al disegno, alle chiacchiere interminabili con gli amici, le corse, il nuoto, le partite di pallone, i concerti, le uscite tra fidanzati senza orario. Questo è il sapore della vacanza. Quando si scoprono i piaceri della vita che rendono la persona migliore e non la fanno cadere nei momenti disperati dell’età adulta. La bellezza di quegli anni non può essere rimandata. Ipotecare il futuro è dannoso. Questi tre mesi di riposo sono vitali come l’acqua. Per l’ansia di un lavoro c’è il resto della vita, che è fin troppo. E il lavoro, si ricordi, non salva chi non ha già lo spazio interiore per lasciarsi salvare. Una nicchia fertile che cresce grazie ai sentimenti maturati nell’infanzia e in quegli anni delicati e preziosi. Noi siamo il risultato delle nostre relazioni. Quello che segue, occupazione compresa, è sempre e soltanto una conseguenza.

Non imitiamo gli americani, la prego. A 16 anni spesi l’estate in North Carolina. La ragazza che mi ospitò, di 17 anni, decise di non cercarsi un lavoretto solo perchè c’ero io a farle compagnia. In due mesi incontrai i suoi amici appena due volte. La prima all’interno di un supermercato: un suo compagno di scuola imbustava la spesa, gli abbiamo strappato un saluto e due battute mentre lavorava e aveva gli occhi sulle scatole di biscotti. La seconda, al cinema di sera: un gruppo di ragazze con che non abbiamo più rivisto, né sentito. “Durante il giorno lavorano”, mi ripeteva lei. Io ero allibita. Perché io, in Italia, d’estate, gli amici li vedevo ogni santo giorno, a pranzo o a cena, a casa dell’uno o dell’altro, per prendere un gelato, fare i compiti, andare in piscina, in colonia, camminare sull’argine lungo il Po.

Signor ministro del Lavoro, dovrebbe puntare su una rete di scuole aperte d’estate, piuttosto. Per attività creative, di aggregazione, di formazione. Questo sì, che sarebbe d’aiuto ai ragazzi che restano a casa da soli o si perdono nelle vie delle periferie.

Spostare l’attenzione sul lavoro è una scusa, un modo per non affrontare le vere esigenze dei giovani: avere un gruppo di amici e sapere stare, giocare, studiare con loro. Questa è l’epopea dell’educazione. Il suo piano, caro ministro Poletti, soffoca, castra, distrugge. Ci ripensi e magari faccia un nuovo discorso.
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