Dalle Quirinarie del 2013 sono trascorsi meno di due anni. Quasi un’era geologica. In meno di 24 mesi il Movimento 5 Stelle è passato per l’elezione di un presidente della Repubblica (Napolitano) e la nascita di due governi (Letta e Renzi). Anche stavolta la scelta del prossimo inquilino del Colle, salvo proposte di nomi condivisi da parte del Pd, potrebbe essere affidata alla consultazione della rete. Metodo già collaudato – non solo per la scelta del candidato alla prima carica dello Stato – ma sul quale si sta aprendo una seria quanto interessante riflessione all’interno del Movimento. Perché stavolta, a differenza del 2013, al responso del voto online potrebbe essere consegnata una rosa di nomi proposta da parlamentari e staff. Quindi, qualcuno sostiene, potenzialmente eterodiretta da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.

“Di fatto, l’indicazione dei nomi tra i quali far scegliere la rete equivale a mettere in piedi un listino bloccato, esattamente come accadeva con la precedente legge elettorale: non solo, una rosa di nomi rischia di influenzare la consultazione. Meglio sarebbe indire Quirinarie aperte, come nel 2013, nelle quali ciascuno viene lasciato libero di indicare e votare il suo candidato ideale senza condizionamenti”, argomenta in Transatlantico il deputato pentastellato Walter Rizzetto, mettendo in sostanza in guardia dal rischio di eleggere il candidato al Colle con una sorta di Porcellum online. Ma c’è anche un’altra questione, sempre di metodo. “Mi auguro che si lasci un tempo adeguato per votare, almeno due giorni a ridosso dell’inizio delle votazioni del prossimo presidente della Repubblica, il 29 gennaio – conclude Rizzetto -. Potrebbe andar bene dal 25 al 27”.

All’appuntamento delle Quirinarie, i gruppi parlamentari del M5S arriveranno numericamente ridimensionati rispetto a due anni fa. Tra espulsioni e defezioni sono passati dai 163 (109 deputati e 54 senatori) di inizio legislatura agli attuali 137 (100-37) parlamentari. E ora c’è chi teme nuovi contraccolpi se si dovesse imporre una consultazione con listino bloccato. “Una scintilla che potrebbe innescare ulteriori fuoriuscite”, avverte un deputato del Movimento. Timori, d’altra parte, che dal direttorio Roberto Fico derubrica a mere illazioni. “Il dibattito interno sulla questione del Quirinale è in corso – assicura il presidente della commissione di Vigilanza Rai -. Il listino bloccato? Chi dice che i nomi saranno calati dall’alto sbaglia. Siamo stati i primi ad utilizzare uno strumento simile, non accettiamo lezioni da nessuno”.

Intanto, le divisioni che lacerano Forza Italia e agitano il Partito democratico costringono il premier Matteo Renzi a pensare a un piano d’emergenza alternativo all’asse con il Cavaliere. «Se vogliono stare al tavolo ci stiano», ha detto Renzi rivolgendosi al M5S. Un messaggio diretto in realtà a FI? Ieri, d’altra parte, Raffaele Fitto è tornato ad attaccare il premier sul calendario delle riforme. Senza contare il duro botta e risposta con Renato Brunetta. “Sei il Re dei fannulloni”, lo ha accusato Renzi. “E’ uno che non ha mai lavorato in vita sua”, gli ha risposto su Twitter il capogruppo azzurro alla Camera. Episodi che confermano le difficoltà del Cavaliere (che starebbe tentando di ricompattare il fronte con i centristi) a tenere le redini delle sue truppe parlamentari. Senza contare la fumata nera arrivata ieri dalla direzione del Partito democratico. “Non mi pare siano stati fatti grandi passi in avanti per sciogliere i nodi politici che precedono l’elezione del capo dello Stato – dice il bersaniano Alfredo D’Attorre -. Sul decreto fiscale come sull’Italicum le risposte del segretario sono state di cesura”.

Insomma “al Senato (dove si sta discutendo la legge elettorale) si rischia una spaccatura molto seria del gruppo”. E se in direzione Davide Zoggia ha invitato il premier-segretario ad “evitare di incaricare qualcuno” (il bersaglio era il sottosegretario Luca Lotti) di calcolare il numero dei franchi tiratori” anche D’Attorre si unisce all’appello. “Renzi ha risposto che Lotti si autogestisce, ma mi pare una tesi un po’ difficile da credere: mi sarei aspettato piuttosto una smentita, anche perché fare la lista dei potenziali dissidenti dà l’idea che si vuole saldare una maggioranza tra un pezzo del Pd e un pezzo di Forza Italia rinunciando in anticipo ad una candidatura che possa mettere tutti d’accordo”. Ennesimo effetto collaterale del Patto del Nazareno.

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