E’ un’elegia delicata e rigurgitante amore quella rappresentata dall’ultimo incontro tra Marco Pannella e il Dalai Lama lo scorso 14 dicembre, a margine del summit dei Premi Nobel per la Pace, svoltosi a Roma. Mezz’ora di dolcezza, grazia, tenerezza cadenzate da picchi di commozione quasi struggente: abbracci, carezze, pizzicotti, effusioni delicate alla cui visione capitolerebbe anche il Riccardo III di Shakespeare. Il leader dei Radicali e l’autorità spirituale del buddhismo tibetano sono i due poli di un’amicizia tattile, epidermica, sincera.

Due anime, due sensibilità, due orbite che si ritrovano avvinte nella stessa forza gravitazionale e si congiungono in un momento di laica e profonda comunione. L’uno, l’immarcescibile “signor Hood”, viscerale, incandescente, vulcanico. L’altro, la massima carica lamaistica, maestosamente gioviale, dalla risata contagiosa e dal sorriso gentile. Entrambi paladini della “non violenza”, come sottolinea il Dalai Lama, che, seduto sul divano con Pannella, impugna con morsa ferrea la sua mano e gli sussurra: “Adesso stiamo andando avanti con la nostra età, abbiamo quasi finito la nostra epoca, eh? Per cui noi non ci dimenticheremo mai di te, Marco”. Il crash emozionale del momento viene stemperato da una successiva battuta del religioso: “Se però ci sono delle cose su cui non andremo d’accordo, vengo a Roma e ti do un morso”.

Il dialogo tra i due amici fa continuamente spola tra una lacrima e un sorriso, come quando il Dalai Lama chiede a Pannella le sue condizioni di salute. E prontamente il leader radicale risponde: “C’è un detto popolare in Italia, ma anche in Tibet: l’erba cattiva non muore mai”. “Allora anche io sono un’erba cattiva” – replica il Dalai Lama – “Noi due abbiamo questa connessione speciale, perché siamo tutti e due erbe cattive”.

C’è poi il momento dello scambio dei regali e sembra di guardare un patchwork ricchissimo di colori con toni e tinte che debordano: il vivace azzurro della cravatta di Pannella, il corrusco rosso-zafferano della tunica del Dalai Lama, la sciarpa bianca istoriata dalla dedica del monaco (“Al caro amico Marco Pannella, la preghiera perché abbia una felicità breve e lunga”), l’arancione abbacinante della fascia che avvolge la piccola statua di Buddha. Ed è con quest’ultima che il politico gioca divertito, estasiato e commosso, come se stesse spupazzando un bambolotto.

Arriva poi il momento dei saluti: come è nel suo inconfondibile stile, Pannella ricorda all’amico per ben due volte il “Radical party” che lo aspetta. Poi i due si incamminano mano nella mano nel corridoio e si accomiatano, ma il leader radicale, dopo pochi passi, ci ripensa e torna indietro. “Ti voglio salutare dicendo non ‘a presto’” – sottolinea, mettendo in visibile difficoltà l’interprete – “ma ‘a presto’. Resteremo insieme”.

Articolo Precedente

Psicologia, a colloquio con l’angoscia

next
Articolo Successivo

Genitori e figli: lo smartphone come costruzione e mantenimento dell’identità

next