“La zona dell’Aquila è la più sismica d’Europa, secondo studi ufficiali, queste sono certezze. Non giochiamo con le parole e con i vostri morti”. Sono state queste frasi pronunciate dall’avvocato di uno degli imputati del processo d’appello alla commissione Grandi rischi a spingere i familiari delle vittime e le parti civili ad abbandonare per protesta l’aula in cui si celebra il processo. A mettere a verbale quelle affermazioni, durante le arringhe degli avvocati difensori, è stato Marcello Melandri, legale di Enzo Boschi, ex presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, uno dei 7 imputati che in primo grado sono stati condannati a 6 anni di reclusione. L’accusa mossa alla commissione Grandi rischi, organo consultivo della presidenza del Consiglio, è quella di aver falsamente rassicurato i cittadini aquilani, al termine di una riunione avvenuta il 31 marzo, una settimana prima del sisma del 6 aprile 2009 che provocò 309 morti e circa 1600 feriti. La sentenza intanto è slittata al 10 novembre.

Il fatto è stato riferito da alcuni avvocati di parte civile, tra i quali Wania Della Vigna, dal momento che i giornalisti, sistemati in una stanza non vicina all’aula dove si svolgeva l’udienza, non hanno potuto assistere alla reazione sdegnata di avvocati e parenti. Tra questi ultimi erano presenti Vincenzo Vittorini, consigliere comunale dell’Aquila, Massimo Cinque e Maurizio Cora. Gli imputati – condannati per omicidio colposo e lesioni personali colpose – sono l’ex vice della Protezione Civile Bernardo De Bernardinis, l’ex presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia Enzo Boschi, Franco Barberi, all’epoca presidente vicario della Commissione Grandi rischi, Giulio Selvaggi, direttore del Centro nazionale terremoti, Gian Michele Calvi, direttore di Eucentre e responsabile del progetto “Case”, Claudio Eva, ordinario di Fisica all’Università di Genova, e Mauro Dolce, direttore dell’ufficio rischio sismico di Protezione civile.

Tra le altre cose l’avvocato Melandri ha anche affermato che “la commissione Grandi Rischi non fa comunicati, ma delibere, solo la Protezione Civile può farlo, agli scienziati è vietato. E in quella occasione non è stato fatto. Oltretutto il mio assistito non sapeva della conferenza stampa, non vi ha partecipato e non solo non ha dato rassicurazioni a nessuno ma ha detto che non si poteva escludere una scossa forte”. Riguardo alla telefonata all’ex assessore regionale Daniela Stati da parte dell’allora capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, in cui l’uomo parla della necessità di un’azione mediatica che rassicurasse la popolazione e “mettesse a tacere un ciarlatano”, l’avvocato spiega che quello è “un ordine che non è stato eseguito”. Quel “ciarlatano” è Gianpaolo Giuliani, un ex tecnico dell’Ingv, divenuto noto proprio dopo il terremoto in Abruzzo per aver parlato di sue presunte previsioni delle scosse sismiche.

“La prova testimoniale va valutata, esiste e non è campata in aria” aveva detto in precedenza il procuratore generale, Romolo Como, nella sua replica agli avvocati difensori. “Sono state rese testimonianze dirette perché i parenti vivevano accanto alle vittime – ha continuato il magistrato – Quindi non hanno riferito parole per sentito dire né il de relato“. Como ha attaccato le difese degli imputati: “Penso un po’ all’antica ma certi termini che ho sentito sulla sentenza sono inaccettabili: ‘sentenza raccapricciante, squinternata, non potrebbe leggere giudizio di legittimità in Cassazione’. Ci sono state critiche esterne, convegni, anche da parte di colleghi, ma devono rimanere fuori dal processo in corso. Si è arrivati a definire criminale il comportamento di qualche giornalista che più o meno correttamente faceva il suo lavoro ma sembra quasi sia colpa loro delle morti delle persone”. Nel sottolineare che “se la sentenza di primo grado ha una colpa è stata quella di voler analizzare troppo a fondo alcuni profili giuridici”, Como ha spiegato che “mi hanno rimproverato di aver detto che si trattava di quattro amici al bar”. Secondo il pg, in definitiva, c’è stato “un atteggiamento di superficialità di fronte alla conoscenza del rischio sismico che invece tutti riconoscono”.

Tra gli interventi durante l’udienza quello di Vincenzo Musco, difensore del professor Gian Michele Calvi, direttore di Eucentre (Centro europeo di formazione e ricerca in ingegneria sismica) e responsabile del progetto Case: “Il professor Calvi – ha detto Musco – è un luminare che probabilmente tra 5-6 anni avrà un premio Nobel“. “Durante la riunione della commissione Grandi rischi, Calvi – ha continuato Musco – ha sottolineato che lui era un tecnico e le decisioni spettavano ad altri. E poi lui non ha partecipato ad alcuna conferenza stampa, sedendosi in disparte. Ma veramente potete condannare Calvi per aver espresso un giudizio scientifico?”. “Ha dato un giudizio scientifico e gli date 6 anni di reclusione per aver cagionato la morte delle persone?”, ha aggiunto l’avvocato Musco. “Qual è la regola cautelare che ha infranto? Io non sono riuscito a trovarla. Si tratta di una rottura del concetto di colpa come lo abbiamo costruito noi giuristi italiani in 200 anni”. Quindi, da parte del difensore, una critica al giudice di primo grado, Marco Billi. “Noi non possiamo creare norme ma il giudice monocratico dell’Aquila lo ha fatto a partire da un dato aleatorio e del tutto generico – ha concluso Musco -: ha creato la norma del rischio. Siamo di fronte a un giudizio di colpa senza colpa”.

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