“Alcuni organizzatori di gang ti trattano peggio di una puttana da strada. Mi è capitata due anni fa una serata di questi eventi qua… eravamo 6 donne e 30 cristiani, e ci hanno dato 100 a testa. Secondo te è normale? E in più pretendevano che facevi di tutto, dicevano ‘devi fare questo, questo e questo’”. Quello che racconta a ilfattoquotidiano.it una delle tante protagoniste femminili delle gang bang milanesi è una storia di “gioco scelto per piacere” ma anche di sfruttamento e pressioni psicologiche. “Se ti lamenti ti rispondono che tanto ce n’è un’altra pronta a prendere il tuo posto. È successo che si è rotto il preservativo a una mia amica e l’organizzatore l’ha trattata come un animale. Io questi li ho mandati affanculo”.

Incontriamo Diana (nome di fantasia), sui 35 anni, in un locale in periferia. “Si inizia per trasgredire”, spiega, precisando che fa questa vita ormai da “qualche anno”. Un’ironia che tradisce l’imbarazzo di raccontarsi e di svelare i meccanismi che regolano il mondo dei festini a luci rosse. Il racconto della protagonista nasconde una valutazione pesante. È lei stessa a bollare alcuni degli organizzatori di gang come dei veri e propri sfruttatori.

Ma come funziona una gang bang? Innanzitutto serve una location adatta, e poi clienti, soldi e soprattutto donne disposte a stare per ore al centro di un lungo e complesso gioco erotico. Una complessità gestita da alcuni organizzatori che, tramite annunci online, profili facebook o twitter, veicolano date e orari degli incontri, scendendo nei dettagli con i nomi delle protagoniste, corredati di foto e menù di “specialità” sessuali. Tutte informazioni inserite su vere e proprie locandine digitali, come se si trattasse di un evento qualsiasi.

A Milano e in Lombardia sono almeno quattro i guru del settore, tutti facilmente rintracciabili su Internet. Hanno una rete di clienti affezionati in continua espansione, si accordano con proprietari di location private (dalle ville agli appartamenti, ma spesso si tratta di night club) e cercano di reperire donne adatte al gioco, concordando prezzi e prestazioni.

Di solito non si tratta di vere e proprie professioniste del sesso a pagamento. Sono donne che nella vita svolgono un’altra attività e scelgono di arrotondare partecipando al gioco erotico in cambio di “gettoni di presenza” più o meno generosi. Non c’è un tariffario standard. “Dipende da come va l’evento di quel giorno, quante persone vengono e quante donne siamo”. In alcuni casi per un pomeriggio di sesso in compagnia di decine di uomini le performer si portano a casa un migliaio di euro. Ma le cose non vanno sempre così. “È capitato che mi pagassero anche poco, pochissimo”.

Articolo Precedente

Milano, Rossi rimane il cognome più diffuso. Ma è incalzato dagli Hu

next
Articolo Successivo

Gang bang, scambisti e privè: quando la legge è violata “senza fare male a nessuno”

next