Arrestare un pericoloso delinquente anche per una promozione a vice comandante dei vigili urbani a Parma. “Una clamorosa cantonata dei vigili” ha rovinato la vita a un ragazzo di colore. Lo raccontano le motivazioni scritte dal giudice Daniela Magagnoli, presidente della prima sezione penale della Corte d’appello di Bologna. Il giudice che il 31 gennaio 2014 ha condannato in secondo grado gli otto agenti della polizia municipale imputati per avere fermato, trattenuto e pestato Emmanuel Bonsu, ha ricostruito tutta la vicenda. L’operazione antidroga nel parco Falcone e Borsellino in cui finì coinvolto il 25enne del Ghana, avvenne il 29 settembre 2008 poco prima della nomina di un nuovo vicecomandante. Una nomina alla quale Simona Fabbri, la più alta in grado tra i condannati, avrebbe potuto aspirare: “Non si fa dunque della maliziosa dietrologia – scrive il giudice nelle motivazioni depositate nei giorni scorsi – se si ritiene che l’effettuazione di una brillante operazione di polizia giudiziaria avrebbe molto giovato alla dottoressa Fabbri per guadagnare prestigio e meriti ai fini della conferma nel ruolo di vicecomandante”. Del resto “l’operazione avrebbe goduto anche del plauso popolare”. Una retata tanto importante per dare lustro alla sua squadra, che la responsabile aveva addirittura avvisato la stampa locale perché la retata finisse sui giornali: “La Fabbri inoltre in un primo momento aveva curato di preavvertire e far intervenire un giornalista sul posto degli arresti, dove essa stessa si trovava (prima ancora quindi di avere avvisato la Procura), così da far risaltare pubblicamente il proprio ruolo”.

Il giudice stigmatizza poi la “brutalità” del placcaggio a terra di Bonsu, che dai vigili (in borghese) era stato scambiato per complice di uno spacciatore in quel periodo attivo nel parco e arrestato quel giorno stesso: “C’è dunque Bonsu bloccato a terra per essere arrestato come ‘palo’ senza nessuna prova a suo carico e con inutile brutalità, picchiato anche quando era ormai immobilizzato. Va qui affermato che, anche volendo dare credito alla più benevola ipotesi che effettivamente da parte degli operanti si fosse incorsi in un mero errore nell’individuare nel Bonsu il presunto ‘palo’, ciò comunque non giustificherebbe in nessuna maniera il loro comportamento successivo, non essendovi alcuna possibile scusante al fatto che egli sia stato picchiato quando era già stato reso totalmente inoffensivo”.

E poi c’è la posizione dell’agente Pasquale Fratantuono. Per lui e per l’agente Mirko Cremonini, in appello è stata confermata l’aggravante dell’odio razziale. Il giudice ricostruisce i momenti dopo il pestaggio nel parco, davanti a una folla di persone (nessuna delle quali ricorda di avere sentito gridare il rituale Fermo polizia!). “Corrisponde all’evidenza logica che il giovane abbia immediatamente dichiarato dove si trovavano i suoi documenti (erano nella vicina scuola serale che frequentava, ndr), essendo suo interesse chiarire immediatamente l’equivoco per essere rilasciato al più presto e non malmenato, essendo in regola e non avendo commesso alcun reato”. E qui la ricostruzione del giudice non lascia spazio a dubbi: “Ma siccome era un nero e quindi un diverso non è stato creduto; e quindi è da ritenersi invece credibile quanto ha dichiarato in dibattimento che Fratantuono a fronte della sua affermazione di avere lasciato i documenti a scuola manifestò con sarcasmo tutta la sua incredulità in proposito dicendogli: ‘Sì, sì. Tu sei uno studente!’; era uno straniero extracomunitario, un nero, come era possibile che fosse uno studente?”, conclude la dottoressa Magagnoli.

Fratantuono (che era al suo primo arresto) è anche l’agente che compilò la busta con l’intestazione Emanuel Negro al momento del rilascio del ragazzo. È inoltre lo stesso che mostrando Bonsu come un trofeo si fece ritrarre in una ‘foto ricordo’ ritrovata sul pc dell’agente stesso. Per il giudice che lo ha condannato è stata un’operazione ingiustificabile: “Quella iniziativa di Fratantuono è stata talmente paradossale ed anomala, oltre che fuori da ogni possibile giustificazione, che se la foto non fosse stata ritrovata sarebbe stato ben difficile credere a Bonsu su questo punto”. In secondo grado le pene sono state rimodulate e alcune decisioni del tribunale di Parma riformate. Rimane la somma di 135 mila euro di risarcimento a Bonsu, che gli otto devono risarcire insieme. A tal riguardo il comune di Parma, datore di lavoro dei condannati difeso dall’avvocato Pierluigi Collura, anche secondo l’appello non dovrà partecipare al risarcimento.

Simona Fabbri è stata condannata a 5 anni di reclusione per falso ideologico, calunnia e sequestro di persona; stessa pena per l’ispettore Stefania Spotti accusata di lesioni, falso ideologico, calunnia, sequestro di persona, perquisizione personale arbitraria e violenza privata; Andrea Sinisi e Marco De Blasi sono stati condannati a 4 anni per calunnia, falso ideologico, lesioni, sequestro di persona, perquisizione personale arbitraria e violenza privata; Mirko Cremonini a 4 anni e 2 mesi, per violenza privata aggravata dalle motivazioni razziali, falso ideologico, perquisizione personale arbitraria, calunnia, sequestro di persona e lesioni; Giorgio Albertini a 3 anni e 10 mesi per falso ideologico, lesioni, calunnia e sequestro di persona; Graziano Cicinato è stato condannato a 2 anni e 10 mesi per sequestro di persona, perquisizione personale arbitraria e violenza privata. Pasquale Fratantuono infine è stato condannato a 5 anni e 6 mesi per tutti i reati contestati ai suoi colleghi eccetto quello di perquisizione personale arbitraria, e in parte è stato assolto anche per falso ideologico. “Faremo ricorso per Cassazione”, ha preannunciato l’avvocato Mirco Battaglini, difensore di Fratantuono assieme all’avvocato Marco Valerio Corini.

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