L’emergenza è stata tale che hanno dovuto quasi evacuare i ministeri. In soccorso del patto Renzi-Berlusconi (e forse, per riflesso, di se stessi) sono arrivati 23 componenti della squadra di governo, 3 ministri e 20 tra vice e sottosegretari: senza di loro la legge elettorale sarebbe stata colpita al cuore. Per soli 20 voti infatti è stato respinto uno degli emendamenti che intendeva introdurre le preferenze, delle quali il Cavaliere non vuole sentir parlare nemmeno da lontano. A far suonare le sirene anti-bombardamento è stato un emendamento sulla doppia preferenza (un uomo e una donna) presentato da Gregorio Gitti, deputato dei Popolari per l’Italia, sul quale si sono concentrati i voti di Sel, Movimento Cinque Stelle, Lega Nord, Centro Democratico. Ma evidentemente anche della maggioranza, non solo del Nuovo Centrodestra ma anche e soprattutto del Pd. E’ finita 297 a 277 quando i democratici – da soli – possono contare su 293 deputati. Nel partito di maggioranza relativa si è assistito a una sorta di rivolta. Delle donne del Pd, forse, dopo che la storia sulle quote rosa è finita nel peggiore dei modi (sono state affondate nell’ombra dello scrutinio segreto). Ma anche della sinistra del partito, forse, che da tempo spinge per eliminare le liste bloccate. Per i renziani, tuttavia, va tutto bene: “L’intesa ha tenuto”, ripete Lorenzo Guerini, ed è l’unico loro pallino fisso (lui, Renzi e Delrio lo ripetono come un mantra). E’ del tutto da capire cosa accadrà al Senato: lì il Pd non ha i numeri di Montecitorio, per contro non esiste il voto segreto. Quindi chi “tradisce” lo deve fare davanti a tutti, segretario compreso.

Non è eccezionale che i componenti di governo che sono anche parlamentari partecipino al voto. Ma dà nell’occhio se diventano decisivi. C’erano i ministri per le Riforme Maria Elena Boschi, degli Esteri Federica Mogherini e della Pubblica Amministrazione Marianna Madia e poi 20 tra viceministri e sottosegretari: Gioacchino Alfano, Luigi Casero, Giuseppe Castiglione, Sesa Amici, Pier Paolo Baretta, Franca Biondelli, Luigi Bobba, Gianclaudio Bressa, Umberto Del Basso De Caro, Antonello Giacomelli, Sandro Gozi, Giovanni Legnini, Luca Lotti, Andrea Orlando, Lapo Pistelli, Angelo Rughetti, Ivan Scalfarotto, Silvia Velo, Domenico Rossi ed Enrico Zanetti. Non c’era il presidente del Consiglio Matteo Renzi, che è sempre rimasto a Palazzo Chigi, anche perché non è parlamentare.

L’ultima parte del dibattito sulla legge elettorale alla Camera è stata un percorso di sopravvivenza per il Pd. A un certo punto, su un emendamento che avrebbe fissato le soglie di sbarramento è perfino comparso il numero maledetto: 101. Erano i voti che mancavano alla “strana maggioranza” che sostiene questa legge elettorale. Nel gruppo del Pd a Montecitorio per tutta la giornata si sono scatenati i peggiori istinti, gli stessi che avevano portato alla stagione di caccia delle norme per la parità di genere e le norme antidiscriminatorie. Poi ha votato in ordine sparso sulle soglie di sbarramento e per ottenere il premio di maggioranza e infine – nella madre di tutte le partite – ha concesso il bis sugli emendamenti per le preferenze. Lo scarto tra no e sì si è ridotto progressivamente: prima 51, poi 35, infine (appunto) 20. Pd e Forza Italia non hanno mai raggiunto la quota dei voti a loro disposizione. Sono mancate decine di voti. Di sicuro quelli degli assenti. Tra questi Pier Luigi Bersani ed Enrico Letta

Bocciato anche l’un emendamento che introduceva il conflitto di interessi presentato da Pino Pisicchio (Cd) e da Pippo Civati (Pd) con 151 sì, 316 no e 11 astenuti. A nome del Pd è intervenuto il renziano David Ermini, il quale ha detto che il suo gruppo è a favore del principio in sé, ma che non è convinto dalle soluzioni proposte dagli emendamenti. Di qui l’annuncio di una prossima proposta sul tema da parte del Pd: “Nei prossimi giorni ne vedrete delle belle, perché il meglio deve ancora venire”, ha aggiunto Ermini. Sono allora intervenuti quasi tutti i parlamentari di Sel che hanno criticato il Pd: “In attesa di vederne delle belle ne vediamo di orribili”, ha detto Michele Piras. E’ stata poi la volta dei deputati di M5s che hanno attaccato sia il Pd che Sel per la loro alleanza con i Democrat nelle Regioni. Ha iniziato Giuseppe D’Ambrosio che ha dato del “buffoni” ai parlamentari del Pd, suscitando le proteste dei Democrat, con Ettore Rosato che ne ha chiesto l’espulsione dall’aula. Nonostante le sollecitazioni della presidente Laura Boldrini ad “evitare insulti e usare un linguaggio consono”, i toni sono rimasti accesi, con Andrea Colletti che ha chiesto ai deputati del Pd: “Perché vi indignate? Il collega D’Ambrosio ha detto la pura verità”. Successivamente Riccardo Fraccaro ha usato l’espressione “sfaccendati”. “Non credo che qui ci siano degli sfaccendati – ha subito ribattuto la presidente Laura Boldrini – ci sono persone che sono state elette e svolgono il proprio lavoro. E’ inaccettabile che vengano insultate”.

In mattinata il presidente del Consiglio Matteo Renzi – che prima aveva cercato di ridimensionare il patatrac democratico sulla parità di genere – aveva incontrato i deputati del Pd e non era stata proprio una passeggiata di salute. Si racconta tra l’altro di un faccia a faccia con Rosy Bindi: “Il Pd è ferito da quei 100 voti che sono mancati” ha detto l’ex ministro al segretario. “Vi chiedo di andare al voto oggi – ha scandito Renzi durante l’assemblea – e di rispettare l’impegno che ci siamo presi come partito. Se qualcuno non vota la legge, dovrà spiegarlo al Paese“.

LA DIRETTA DALLA CAMERA

 

/maxresdefault.jpg” style=”width:630px;”>