Quanto a “superamento delle contrapposizioni ideologiche” (un must del nuovo corso, per cui Berlusconi puzza un po’ meno, o bisogna farsi piacere l’olezzo perché serve alle riforme) non siamo messi benissimo. A quanto pare le contrapposizioni ideologiche, considerate cosa brutta e cattiva, si sono solo spostate da un’altra parte, occupano altri angoli della scacchiera, ma siamo sempre lì: allo scontro tra tifoserie, agli striscioni esposti, alle scaramucce, per fortuna soltanto dialettiche, tra fazioni. Ora, archiviata la contrapposizione con il signore di Arcore, ridiventato con un colpo di reni padre della patria – un condannato in Cassazione che va a fare le consultazioni al Quirinale, per dire – la guerra delle parole si sposta sul fronte Pd-Cinque Stelle, con tanto di fuoco di sbarramento, colpi di mortaio, gas venefici.

Osservando da fuori l’ardita battaglia, e avendo il privilegio di non stare né su una trincea né sull’altra, si possono elencare alcune pratiche di combattimento, ricavandone via via stupore, o scoramento, o addirittura sincero divertimento, essendo una partita in cui non mancano gli autogol. Prima, però, una premessa: non è esatto parlare di “scontro ideologico” perché di ideologia (che non è una parolaccia, lo dico per i nati nell’epoca di Candy Candy) ce n’è pochina. Si tratta piuttosto di una guerra per il controllo del territorio. I grillini vedono in Renzi la minaccia di uno capace di parlare anche al loro popolo e riprendersi spazio nel loro cortile. I renzini vedono nei grillini l’unica opposizione fastidiosa, essendo ormai quella di Silvio profumata di lavanda. Insomma, territorial pissing. Un conflitto in cui si troverà in mezzo chi non sta né con gli uni né con gli altri: gravi danni per la popolazione civile.

Si impari poi l’uso delle armi. Tra queste, la più micidiale: il peggismo. Qualunque cosa si rimproveri a uno, quello si alzerà a dire che c’è qualcosa di peggio. Il discorso di Renzi non piace? Ecco subito i renzini all’arrembaggio che strepitano: “Allora meglio il vaffanculo?”. Le epurazioni dei senatori grillini dissidenti non piacciono? Ecco subito i grillini inalberarsi: “E l’epurazione di Letta?”. Non se ne esce. È come a un seminario sul colera qualcuno si alzasse contestando: “E la peste allora?”. Se il relatore si piega alla protesta e dice, ok, parliamo della peste, ci sarà qualcuno che si alza a dire: “E il virus Ebola, allora?”. E via così, non si finisce più, perché qualcosa di peggio si trova sempre. Se poi chi rimane in mezzo alla sparatoria ha la pretesa assurda di leggere e commentare la vita politica, le cose si complicano. Bei tempi quando si contestavano ai commentatori ragionamenti, parole e argomenti. Ora no. Ora è invalso il vezzo di contestare non ciò che viene scritto, ma ciò che non viene scritto. Non attacchi abbastanza Grillo. Non attacchi abbastanza il Pd. Come se, sputando fiele sulla parte opposta, si pretendesse da terze parti una specie di manuale Cencelli del commento, un bilancino, una par condicio.

Come si vede, dire che c’è un “superamento delle contrapposizioni ideologiche” è una mezza scemenza e l’altra metà è pura, cristallina stupidità. Ognuna delle fazioni in lotta sembra stupita, quasi offesa, che non si stia dalla sua parte, una cosa che accade di solito nelle sette religiose. È così incrollabilmente convinta di essere nel giusto che considera ogni parola fuori dal proprio coro “intelligenza col nemico”. E sarebbe già qualcosa, perché in tutto questo bailamme di intelligenza ce n’è pochina.

Twitter @AlRobecchi

Il Fatto Quotidiano, 26 febbraio 2014

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