“Aiutateci a trovare bambini africani da curare a bordo del gruppo navale Cavour“. Questa è la richiesta che nelle scorse settimane le Ong italiane operanti in Africa si sono viste recapitare via email da parte della Fondazione Francesca Rava, organizzazione umanitaria coinvolta nella missione commerciale della Marina militare “Sistema Paese in Movimento”. La richiesta ha suscitato polemiche nel mondo della cooperazione e del volontariato italiano, tutto schierato contro quella che da più parti è definita una fiera galleggiante di armi ‘made in Italy‘ da vendere a governi arabi e africani, compresi regimi autoritari e paesi in guerra.

“Appena si arriva nel continente nero scatta la fase umanitaria del convoglio, quella che fin dall’inizio è stata utilizzata dal ministro Mauro per nascondere i fini commerciali (della missione) prevalentemente nel settore bellico”, si legge sul blog Info-cooperazione.it che ha reso pubblica questa richiesta: “Ora che servono i bambini da vistare sulla nave, c’è bisogno di Ong volenterose che portino i casi umani da fotografare per giustificare lo scopo umanitario della missione”.

In ognuna delle tappe africane del tour (partito in questi giorni da Dubai, si concluderà il 7 aprile dopo aver visitato 7 paesi del Golfo Persico e 13 africani) centinaia di bambini da far salire a bordo di una delle unità d’appoggio della portaerei Cavour, nave Etna, dove gli verrà misurata la vista e se necessario riceveranno in dono occhiali correttivi e altre cure. Ad avvicendarsi nell’ambulatorio oftalmologico appositamente allestito dalla fondazione in collaborazione con Federottica e l’Associazione italiana medici oculisti, saranno volontari che raggiungeranno ogni tappa arrivando in aereo dall’Italia: ottomila euro a missione pagati da alcune aziende del settore ottico.

“Naturalmente non parteciperemo a questa farsa” è una delle prime risposte che arriva, dal Cospe. Ma a dissociarsi sono tutte le Ong italiane (Focsiv, Cipsi, Cocis, Coopi, Cesvi, Cosv, Amnesty, Emergency, Pax Christi, Arci, Acli, Beati i costruttori di Pace, Intersos, Oxfam, Un Ponte per, Terres des Hommes e altre ancora) che hanno firmato una lettera al presidente Napolitano per protestare contro questa iniziativa della Difesa, giudicandola “inaccettabile in quanto mescola una serie di attività, commerciali, militari e umanitarie, che per loro natura hanno finalità e caratteristiche differenti e che riteniamo sia importante continuare a tenere separate”. Le Ong criticano “la partecipazione a questa campagna di alcune organizzazione umanitarie” (oltre alla Fondazione Francesca Rava, la Onlus Operation Smile e la Croce Rossa Italiana) ricordando che “per la normativa internazionale l’aiuto umanitario non può essere utilizzato come strumento di politica estera dei governi, poiché così si mette in discussione non solo l’indipendenza, la neutralità e l’imparzialità delle organizzazioni autenticamente umanitarie, ma anche la stessa possibilità che gli operatori umanitari continuino a intervenire efficacemente e in relativa sicurezza nei contesti di crisi”.

“Questa richiesta di aiuto rivolta alle Ong all’ultimo momento è la dimostrazione di come si stia usando la foglia di fico umanitaria per mascherare un’operazione di promozione dell’industria bellica italiana”, commenta Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana Disarmo. “Se si vogliono organizzare operazioni umanitarie serie ci si coordina fin da subito con le realtà che operano in loco, non si improvvisa così. E poi mi spiegate dove sta il contributo umanitario della Marina se i medici vengono portati avanti indietro in aereo a carico di altri e non operano nemmeno nel tanto decantato ospedale di bordo della portaerei Cavour ma in un ambulatorio improvvisato? E’ un umanitarismo di facciata che fa comodo solo alla Difesa, condotto per giunta secondo la vecchia logica dell’uomo bianco che arriva a compiere buone azioni e poi se ne va”.

Interpellata sulla vicenda, la Fondazione Francesca Rava mantiene un atteggiamento pragmatico. “Non vogliamo entrare in questa polemica: è triste polemizzare quando si cerca solo di fare del bene. E’ facile parlare, ma poi bisogna anche fare. E noi di cose buone, grazie alla collaborazione della Marina militare, ne abbiamo fatte: dalle centinaia di vite salvate nel corso dell’operazione umanitaria ad Haiti, alle iniziative di raccolta fondi a favore dei terremotati dell’Emilia, all’assistenza ai migranti a Lampedusa nell’ambito dell’operazione Mare Nostrum. Fino a questo intervento sanitario in Africa, che per noi sarebbe stato impossibile compiere da soli, e che è molto importate perché consentirà di visitare duemila bambini salvandone tanti dalla cecità evitabile, che nel 43 per cento dei casi è dovuta semplicemente alla mancanza di occhiali. Sul piano organizzativo ci siamo coordinati con le ambasciate italiane locali e con la rete internazionale di Federottica in Africa, chiedendo anche la collaborazione delle Ong che operano in quei paesi: se alcune di queste scelgono di non partecipare per motivi di principio è loro pieno diritto farlo”.

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