Il pm Nino Di Matteo deve morire. Così ha urlato il boss di Cosa Nostra, Totò Riina, secondo la ricostruzione del quotidiano Repubblica, dalla sua cella del carcere milanese di Opera. “Quelli lì devono morire, fosse l’ultima cosa che faccio”: sono le parole rivolte a un compagno di reclusione, a quanto ha riferito un agente di polizia penitenziaria. Nino Di Matteo, sostituto procuratore di Palermo, rappresenta l’accusa nel processo che sta facendo luce sulla trattativa Stato-mafia avviata dopo le stragi del 1992.

Le minacce del boss non hanno lasciato indifferenti le autorità giudiziarie. Lunedì 11 novembre si è riunito d’urgenza il comitato per l’ordine e la sicurezza presieduto dal prefetto palermitano Francesca Cannizzo. Mentre alla Procura di Palermo è convocato un vertice presieduto dal procuratore capo Francesco Messineo. Presenti all’incontro anche il procuratore aggiunto Vittorio Teresi, lo stesso Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia. Alla riunione dell’11 novembre è stato chiesto un rafforzamento della scorta al ministero dell’Interno.

Messineo smentisce invece l’ipotesi di un trasferimento del pm e la famiglia in una località segreta: “Non c’è nessuna seria prospettiva”. Per il procuratore capo di Palermo, Di Matteo “ha un adeguato sistema di protezione che gli consente una normale vita di relazione e professionale”. Ma è possibile che agli uomini responsabili della sicurezza del pm sia fornito un dispositivo anti-bomba che blocca i segnali radio dei telecomandi nel raggio di duecento metri.

Secondo il giornalista Attilio Bolzoni, il boss di Cosa Nostra si è sentito tradito per essere stato “consegnato” allo Stato nell’ambito della trattativa. In particolare, sarebbe stata la testimonianza al processo del pentito Francesco Onorato, un tempo suo fedelissimo, a spiegare che il “capo dei capi” è stato ingannato da chi lo incoraggiò a uccidere Falcone e Borsellino. E ora, ha capito che “sarà soltanto lui a pagare per Capaci e via D’Amelio”.

Ma Nino Di Matteo non sarebbe l’unico magistrato nel mirino di Totò Riina. Sempre secondo il comitato per l’ordine e la sicurezza, è in pericolo anche il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato. A Caltanissetta, il pm si è occupato della revisione del processo per la strage di via D’Amelio, puntando il dito contro gli uomini più vicini al “capo dei capi”.

Intanto arriva da più parti la solidarietà al sostituto procuratore. L’Associazione nazionale magistrati esprime “vicinanza ai colleghi della Procura di Palermo e a tutti i magistrati particolarmente esposti nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata, nella certezza che tali intimidazioni non potranno sottrarre loro serenità e determinazione nel quotidiano impegno di affermazione della legalità”. L’ex pm di Palermo e leader di Azione civile, Antonio Ingroia, è convinto “che la vera scorta dei magistrati è quella di un Paese che si muove in tutte le sue articolazioni al loro fianco”.

Di “messaggio inquietante, che non va in alcun modo sottovalutato”, parla il presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi. “Il ministro dell’Interno assicuri il massimo della sicurezza e il sostegno necessari ad una procura in prima linea nella lotta alla mafia”, ha aggiunto. “Si tratta di una delicatissima vicenda, e noi manifestiamo la nostra solidarietà a chi sta dalla parte giusta e svolge il proprio lavoro”. Queste le parole di Bartolomeo Romano laico del Pdl in apertura del plenum del Consiglio superiore della magistratura. Anche il candidato alla segreteria del Partito democratico, Gianni Cuperlo, chiede “al governo di prendere ogni misura necessaria per proteggere Nino Di Matteo e la sua famiglia.

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