Lo avevamo chiamato il calcio pulito. Quello che si contrapponeva al calcio scommesse e si impegnava nell’energia alternativa. Quello che allo stadio di cemento ed erba passava a immaginare uno stadio di vetro e fotocellule. Alla fine il maxi progetto di parco fotovoltaico della Spal 1907 è andato in porto. Eccome. Ma i risultati sono ben diversi dalle premesse. E lo si scopre leggendo, a tre anni di distanza, la relazione del commissario giudiziale del tribunale di Ferrara Paolo Montanari.

Una relazione che arriva nelle more della procedura di concordato preventivo per la società Spal 1907 spa. Quella società che grazie al maxi impianto doveva riuscire a prosperare e godere di una propria autonomia economica. E che oggi invece ha evitato in extremis il fallimento ma che ormai è scomparsa dai calendari sportivi. La storia comincia nel settembre 2011 la società calcistica ferrarese dell’allora presidente Cesare Butelli inaugurò un impianto con 60mila pannelli solari distesi su 292mila metri quadrati di terreno. Uno specchio terrestre in grado di trasformare il calore del sole in 14 megawatt, qualcosa pari al fabbisogno energetico di 7.000 famiglie. La Spal 1907 si presentò come prima squadra al mondo a finanziarsi con lo stadio fotovoltaico. Tutto fu possibile in pochissimo tempo. Comune e Provincia di Ferrara stesero un tappeto rosso per permettere di rilasciare le concessioni in tempi brevissimi, cinque mesi.

Sindaco e presidente Pd della Provincia presenziarono al taglio del nastro spendendosi in favore di tifosi e città. Tagliani si augurava come “questo progetto potrà dare serenità alla società sportiva e i dovuti investimenti, perché credo che i tifosi spallini meritino delle soddisfazioni”, mentre Marcella Zappaterra vedeva nell’operazione “un esempio di come dovrebbe essere gestito il fotovoltaico; la speranza è che ci siano altre amministrazioni che ci seguano sulla scorta di quanto abbiamo fatto”.

Ora, dopo tre anni, la relazione del commissario giudiziale racconta dove e a chi sono finiti i milioni. Alla base dell’affare c’è un accordo datato gennaio 2011 tra Turra Energia (che fa capo all’imprenditore bresciano Remo Turra, il cui gruppo ha investito nell’operazione quasi 50 milioni di euro) e Spal 1907. Questa cedeva alla prima l’autorizzazione e i diritti per l’impianto fotovoltaico e il contratto di affitto del terreno. In cambio avrebbe ottenuto il 30% del valore dell’energia prodotta. Poi è arrivata la concessione del diritto di superficie da parte di Hera per 20 anni a favore del Consorzio Energia Futura, rappresentato sempre dall’imprenditore Turra e composto dalle società Global Consulting, Tunve Energy, Europesun, Ferrara Energia, con sede a Brescia. Contemporaneamente Turra Energia doveva acquisire il 30% del capitale della Spal 1907, cosa mai avvenuta.

Quello che solo oggi si scopre è che il tutto trovava ragione d’essere nel grande affare degli incentivi pubblici: più dei tre quarti dei proventi della cessione dell’energia arrivavano dallo Stato. Un incentivo ventennale da cui si poteva iniziare a beneficiare a partire dalla messa in funzione dell’impianto. Nel caso di Ca’ Leona si parla di una potenza di circa 20 milioni di kwh all’anno. Vale a dire circa 6,8 milioni di euro annui garantiti nel ventennio. Per un totale di 136 milioni. E di questa cifra la Spal aveva diritto a una minuscola parte, dal momento che l’accordo stipulato sotto il naso delle amministrazioni assegnava alla società calcistica sì il 30% dell’energia, ma con riferimento al solo valore di produzione. Il totale degli incentivi è andato invece nelle mani del gruppo bresciano. A giovare infine del business sarà Hera, che percepirà sotto forma di canone per la ex discarica 150.000 euro all’anno per 20 anni.

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