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The Mission, lo strano senso umanitario della Rai

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Ne abbiamo viste di ogni: dai pionieri sconosciuti rinchiusi a Cinecittà ai “morti di fama” spiaggiati ai Caraibi, ma adesso pare che gli autori di reality show abbiano davvero superato ogni limite sopportabile la Rai sta producendo “The Mission”, un vip reality ambientato nientemeno che nei campi profughi di alcuni paesi africani (Sud Sudan, Mali, Repubblica Democratica del Congo). Ci toccherà vedere, dunque, Al Bano ed Emanuele Filiberto alle prese con problemi immani, con tragedie di dimensioni così enormi da soverchiare qualsiasi altra cosa. Il tutto, ovviamente, pagato dai soldi del nostro canone.

È davvero necessario? Sul serio la nostra televisione di Stato non riesce a offrire niente di meglio? Un format così vergognoso non ce lo aspettiamo nemmeno dalla più becera delle emittenti private, e invece ci toccherà sorbircelo sulle frequenze Rai, organizzato addirittura in collaborazione con l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati e con l’Ong Intersos. L’intento annunciato è umanitario, ovviamente, ma non riusciamo a vedere niente di umanitario in uno show televisivo che di fatto spettacolarizza e drammatizza a uso e consumo del telespettatore più perverso cose troppo serie perché si possano trasformare in showbusiness. Cosa ha di umanitario Paola Barale alle prese con bimbi malnutriti, donne malate di Hiv o ragazzi mutilati?

Sul web, però, c’è chi non ci sta. È il caso di Andrea Casale, venticinquenne di Parma, che la lanciato una petizione su change.org per chiedere di bloccare la produzione del reality. Le firme sono già seimila e c’è da giurare che cresceranno ancora di più nelle prossime ore. Dalla Rai abbiamo davvero tollerato di tutto: trash, salotti pomeridiani urlanti, raccomandazioni politiche, epurazioni ed editti, ma il reality sui rifugiati africani rende davvero colma la misura.

Cosa dicono a viale Mazzini? Cosa ne pensano i timorati (e timorosi) Gubitosi e Tarantola? E sarebbe interessante conoscere anche il parere del presidente della Camera Laura Boldrini, che nell’Unhcr ha trascorso venti anni intensi e proficui. Aspettiamo risposte. Convincenti. E dai dirigenti Rai, non da Emanuele Filiberto. Se possibile.

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