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Stipendi manager pubblici, accordo nella notte sul tetto dopo il braccio di ferro

Al termine di una maratona durata fino a mezzanotte, è arrivata la soluzione al nodo dei compensi dei manager pubblici: tutti quelli che non rientrano già nel tetto introdotto con il Salva-Italia al prossimo rinnovo si vedranno sforbiciare del 25% tutti i compensi, "a qualunque titolo determinati"
Senato
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E’ arrivata intorno alla mezzanotte, dopo un lungo braccio di ferro al Senato, la soluzione al nodo dei compensi dei manager pubblici: tutti quelli che non rientrano già nel tetto introdotto con il Salva-Italia (circa 300mila euro, il trattamento economico del primo presidente della Cassazione) al prossimo rinnovo si vedranno sforbiciare del 25% tutti i compensi, “a qualunque titolo determinati”.

Il provvedimento, dopo aver ricevuto il via libera delle commissioni Affari costituzionali e Bilancio del Senato, era arrivato in aula lunedì alle 9.30. E aveva subito l’intervento dei senatori che, in commissione, per risolvere la questione delle modifiche al tetto agli stipendi dei manager avevano semplicemente soppresso le novità introdotte alla Camera, precludendo così il voto sull’emendamento del governo che prevedeva una nuova stretta anche per i manager delle società pubbliche quotate.

Di fatto, quindi, era stato soltanto ripristinato lo status quo del Salva Italia, con la cancellazione del “non” che era stato inserito a Montecitorio nel testo dell’emendamento, ribaltando il significato della norma e facendo così saltare anche il limite massimo fissato dal governo Monti per gli emolumenti dei vertici delle società pubbliche non quotate che svolgono servizi di interesse generale, anche di rilevanza economica. Nessun passo in avanti, invece, sulle altre partecipate del Tesoro come era invece intenzione dell’esecutivo.

In dettaglio la linea del governo, con una proposta di modifica che non aveva trovato l’accordo delle forze politiche, era quella di ampliare la platea di manager cui sforbiciare i compensi, prevedendo un taglio del 25% di quelli dei manager delle società pubbliche quotate (e introducendo per le non quotate un sistema differenziato). Nel pomeriggio, quindi, era trapelata la “forte irritazione” dell’esecutivo. Una “occasione persa”, aveva subito sottolineato il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta. Mentre Dario Franceschini  aveva fatto sapere che il governo non ha “alcuna intenzione di rinunciare alla riduzione degli emolumenti”.

Il compromesso, raggiunto nella notta anche con una deroga ai regolamenti parlamentari perché l’emendamento finale è stato presentato eccezionalmente dai capigruppo di maggioranza, prevede appunto per tutti i manager delle società pubbliche quotate e per quelle non quotate che emettono titoli non azionari (e loro controllate) il taglio del 25 per cento. Il provvedimento, dopo aver ricevuto il via libera delle commissioni Affari costituzionali e Bilancio del Senato, è atteso in aula.

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