È di certo tra le accuse più odiose per chi, per una vita intera, si è occupato di pubblica amministrazione. Peculato. È questo il reato per il quale è indagata Adriana Poli Bortone, senatrice fino alla scorsa legislatura, fondatrice di Io Sud, una lunga militanza in An, ex ministro delle Risorse agricole e, soprattutto, sindaco di Lecce per due mandati, fino al 2007. Il suo nome finisce nell’inchiesta su via Brenta, relativa alla costruzione dei palazzi sede del Tribunale civile nel capoluogo salentino.
Un affare da 52milioni di euro, sul quale si sono addensate le nuvole di uno scandalo giudiziario e politico insieme. Peculato, abuso di ufficio e falso sono le ipotesi di reato contestate e già preannunciate, in sostanza, nel colpo di scena arrivato con la lettura dell’ordinanza del giudice Stefano Sernia, solo qualche settimana fa.
La storia processuale di via Brenta, “il grande imbroglio”, come l’ha definita lo stesso giudice, non inizia, infatti, ora. Adesso si riavvolge il nastro. Il processo-padre si è già concluso con un’unica condanna a tre anni di carcere disposta, per la sola ipotesi di falso, nei confronti di Giuseppe Naccarelli, ex dirigente comunale. Il resto è tutto da rifare, le indagini dovranno ripartire e cercare di dare sostanza alla nuova accusa, più pesante. Dalla truffa si passa al peculato. E ai precedenti indagati si aggiunge, appunto, il nome della Poli. Si affianca a quelli di altri dirigenti, tecnici e amministratori comunali, del suo ex consulente giuridico, Massimo Buonerba, travolto anche nello scandalo per le tangenti sul filobus. Coinvolti, inoltre, amministratori e rappresentanti della finanziaria milanese Selmabipiemme e dell’impresa costruttrice, la Socoge. È sui ruoli di ciascuno che il procuratore aggiunto Antonio De Donno dovrà fare luce.
Il punto di partenza è che, attraverso atti “fraudolenti e dannosi”, sarebbe stata messa in piedi l’operazione milionaria finalizzata all’acquisto della sede del polo di giustizia. Il Comune è subentrato nell’originario contratto di leasing stipulato tra Socoge e Selmabipiemme e lo avrebbe fatto solo per favorire la prima. Stando alla tesi dell’accusa, avrebbe acquistato gli immobili sulla base di una stima del loro valore gonfiata. Il contratto ventennale prevedeva canoni semestrali da 779mila euro e una ciliegina sulla torta, la maxirata finale, da 14milioni di euro. Un massacro per le casse comunali. E un modus operandi che sarebbe stato “solo apparentemente legale”. “È escluso che l’affare sia stato portato a compimento all’insaputa della Poli”, che di quell’acquisto in leasing si era fatta “promotrice”, ha scritto il giudice Sernia nell’ordinanza. Lei, per ora, rimane tranquilla. “Non ci trovo niente di particolare nella mia iscrizione, oggi, nel registro degli indagati- chiosa l’ex sindaco-. Chiarirò tutto”.
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