Sette femmine contro tre maschi, lei «l’ultima nata della covata teatrale straricca di femmine». Un problema per una famiglia di teatranti («non si poteva risolvere con la messa in scena di sole opere come “Le sorelle” di Cechov»), in cui le donne, tra l’altro, si occupavano dei costumi e di insegnare ai figli le parti.

«È ora che Franca cominci a recitare», le dice un giorno sua madre, Emilia, «alta, slanciata», sposata contro il volere della famiglia con un marionettista senza fissa dimora. Franca ha tre anni, e nel suo libro autobiografico “Una vita all’improvvisa” (edizioni Guanda), racconta del suo primo ruolo di scena, in cui, vestita da angiolino di supporto dell’Angelo Gabriele, doveva ripetere a Giuda “pentiti, pentiti”, e invece finisce per consolare sul palco Zio Tommaso nel ruolo dell’iscariota. O di quando, impersonando Giulietta, si addormenta come un sasso nel sarcofago e il padre la deve svegliare subito dopo il suicidio di Romeo.

Franca Rame negli anni '70

Tante le figure femminili che popolano la sua infanzia: dalle donne del quartiere – la fruttivendola Maria, «più larga che lunga» e la nubile e ricca Giuseppina, che la prende sotto la sua ali – alle sue sorelle. Che, ad esempio, la preparano per quel giorno, quando arriva “quella cosa lì” e Franca, che si ritrova bardata con un «enorme pannolino affrancato con una spilla da balia», rimanendo delusa a vita perché nessuno la festeggia. Anche il seno arriva tardi, – dopo aver pregato Santa Rita su consiglio della madre, prima uno e poi l’altro – e così il sesso. Tanto che quando, durante un corso da infermiera, un medico le chiede di prendere il pene di un paziente e lei, toccando tremante la “salsicetta” provoca un’erezione al giovane, comincia a gridare “aiuto, è vivo” e il medico ridendo le consiglia di farsi trasferire a pediatria.

Sulle donne e la violenza la prima cosa la impara dalla madre di un partigiano ucciso, che dopo la Liberazione, quando un gruppo di uomini sta trascinando via le figlie di un generale fascista per punirle con la rasatura, grida: «Abbiamo rischiato la vita per mortificare delle donne che hanno sbagliato? Tagliate i capelli a me». Altre, invece, le apprende con il suo stesso corpo. Quando, dopo aver incontrato Dario – «lungagnone dinoccolato e sorridente» – rimane incinta e decide di abortire che ancora non era legale (pagando trentamila lire a un medico feroce che dopo, ricchissimo, diventa anche obiettore).

Ma anche, soprattutto, quando, il 9 marzo del 1973, subisce un sequestro e uno stupro violentissimo, che ancora anni dopo «mi basta un niente per ritrovarmici dentro». E che tuttavia un giorno, abbandonandosi, decide di recitare sul palco, per poi replicarlo “duemila volte”: «Una sera, in scena, ho chiesto di abbassare le luci e ho cominciato a raccontare quello che avevo subito. Dissi che era una testimonianza su ‘Quotidiano donna’, ma era la mia storia», scrive. Nel 1988, lo recita in prima serata a Fantastico, con Adriano Celentano, con la preoccupazione di tutti i dirigenti Rai. «Ogni sera lo dedico a tutte le donne. E anche agli uomini», dice in quell’occasione. 

Ma il corpo le porta anche emozioni positive e profonde. Dopo il matrimonio a Sant’Ambrogio nel 1954, il santo “fanatico del teatro”, con un cappello di paglia leggero, resta incinta di Jacopo – «Perché si dice aspettare un bambino? Io lo sto facendo, nessuno me lo porta!» – e anche se in gravidanza vomita sempre ammette: «Per una donna è il momento più bello». Anche il parto è sotto il segno dell’ironia, con lei che grida “etere, etere” per il dolore e l’infermiera crede che stia chiamando un tale “Ettore”. «Mi sto sciogliendo di gioiosa emozione e felicità», dice, nonostante la fatica che, dopo nove giorni, li fa tornare in clinica per riposarsi col bimbo, con Dario che cerca di confortare le altre mamme fingendo che alla moglie sia successo lo stesso. «O Jacopino, quanto ti bene ti voglio!»: nel libro ricorda quando il figlio arrivò chiedendo come ci si masturbava e Dario urlò di chiederlo alla fidanzata. O, anche, quando trionfante le annunciò di «aver trovato la clitoride» e lei gli chiese dove l’avesse persa.

Del corpo delle donne Franca ha continuato a occuparsi, sempre. Negli anni ha continuato a seguire tutti i casi di stupro, e a rallegrarsene quando i giornali, almeno, ne davano notizia, «solo un secolo fa lo stupro veniva quasi censurato e la pena giudiziaria per chi faceva violenza alle femmine era quasi aleatoria». «Non mi sono mai sentita femminista, solo in lotta per i diritti delle donne», ha detto parlando della legge 194, «Ai tempi del femminismo ci dicevano che le donne sono isteriche, perché hanno invidia del pene, ora noi possiamo dire che Giuliano Ferrara e Sua Santità hanno invidia dell’utero». E sempre sull’aborto: «Orribile, doloroso e sbagliato. È qualcosa che ti sta addosso. Questo noi lo sappiamo, il Papa purtroppo non lo sa». Uno dei suoi ultimi interventi è stato in difesa di Veronica Lario, dopo la famosa lettera: «È il grido di una donna che pretende rispetto. Per chi occupa una posizione così, la prima regola è il rispetto, il rispetto delle donne, in primo luogo della moglie».

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