Di fronte ai picchi di disoccupazione senza precedenti a cui si sta assistendo nei Paesi meridionali d’Europa, la migrazione verso il Nord diventa quasi inevitabile. Che sia per stage o lavoro, il tragitto non cambia: si parte da Italia, Spagna e Grecia e si arriva in Germania, Regno Unito o Belgio. Dati e valigia alla mano, i protagonisti assoluti sono gli italiani, tallonati dagli spagnoli, dove la disoccupazione giovanile ha ormai superato il 50 per cento. E intanto qualcuno al Nord protesta perché vede minacciato il proprio sistema di welfare e a Bruxelles viene subito chiesto di alzare le barriere.

Secondo i dati diffusi dall’Ufficio di statistica Destatis, l’immigrazione verso la Germania non è mai stata così alta da 17 anni a questa parte. Questo vuol dire che l’anno scorso 1,08 milioni di persone si sono trasferite in Germania per cercare un lavoro, un aumento del 13% rispetto al 2011. Primi i Paesi dell’est, con polacchi (180mila persone), romeni (116mila), bulgari (58mila) e ungheresi (54mila). Ma a livello percentuale il maggior aumento lo registrano i Paesi del sud, in primis la Spagna con un +45% (30mila persone), seguita proprio dall’Italia con un +40% (42mila). Non è un caso, infatti, che in Europa sempre più persone siano costrette ad imparare il tedesco. Già nei mesi scorsi secondo il Goethe Institute, che promuove la cultura e la lingua tedesca nel mondo, ha riferito che i corsi di tedesco si sono diffusi moltissimo nei Paesi del Sud dove si guarda con speranza a quella Germania in perenne ricerca di professionisti, come testimonia il sito http://www.make-it-in-germany.co, un vero e proprio vademecum per trovare lavoro, creato direttamente dal governo di Berlino.

Ma non solo Germania e non solo lavoro. Sono sempre di più i giovani, spesso ancora studenti o neo laureati, che cercano riparo direttamente nel cuore d’Europa, a Bruxelles, magari con uno stage nelle istituzioni europee, un’esperienza importante per partire e cercare di non tornare più. I dati delle ultime domande di stage alla Commissione europea (marzo 2013) parlano chiaro: su 10.747 domande totali ben 2.535 sono italiane, quasi una su quattro su 27 Paesi membri. Seguono, neanche a dirlo, gli spagnoli, con 1.250 e poi i greci con 735. Cifre da vero e proprio esodo soprattutto se paragonate a quelle di Paesi come la Svezia (87) e la Finlandia (81).

Ma se dal Sud si parte con speranza, spesso al Nord si viene accolti con diffidenza, a volte addirittura con astio. Non a caso quattro paesi, Regno Unito, Germania, Olanda e Austria, hanno recentemente scritto alla Presidenza di turno irlandese dell’Ue per chiedere di mettere all’ordine del giorno del prossimo Consiglio Ue Giustizia e Affari interni il “problema” immigrazione interna. “Un crescente numero di immigrati usufruisce dell’assistenza sociale nel Paese che li ospita e spesso senza averne veramente il diritto, finendo così per pesare sul welfare nazionale”, si legge nella lettera inviata al ministro irlandese Alan Shatter. Sotto tiro ancora una volta la libera circolazione all’interno dell’Ue prevista dal trattato di Schengen (anche se la Gran Bretagna non ne fa parte).

“Accuse ingiustificate, basate su paure inflazionate e motivate da dibattiti infiammati da motivi di politica interna”, ha commentato il Commissario europeo per il lavoro, Laszlo Andor (ungherese). “Le cifre sono inflazionate e lontane dal vero”, ha poi aggiunto, invitando a “prendere con le pinze le previsioni dei Paesi del Nord”. Pinze o non pinze, l’argomento non potrà essere ignorato alla prossima riunione del Consiglio competente prevista a giugno. Ironia vuole che sono il giorno prima la Commissione europea aveva svelato alcune proposte di nuove misure per agevolare la mobilità dei lavoratori in Europa, tra cui punti di contatto nazionali per informazione ed assistenza nonché la possibilità per i sindacati e le Ong di avviare cause legali a nome dei lavoratori immigrati. Ovviamente queste proposte saranno discusse anche dal Parlamento europeo e dal Consiglio, dove l’opposizione dei paesi del Nord è più che scontata.

@AlessioPisano

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