Attenzione alla vendita de La7. Ho un legittimo (conflitto di) interesse a parlare di questo tema e chi mi legge ne tenga conto: sono un giornalista del Tg La7.

Ma questa vicenda, per questo scrivo, non riguarda solo e tanto chi lavora nel tg La7 o in uno dei talk della testata, ma riguarda tutti i cittadini italiani, tutti quelli che almeno una volta all’anno, stufi di censure o clamorose omissioni tv e in cerca di notizie, hanno pigiato il tasto 7 del telecomando. Trovando, anche solo una volta, una notizia, un’inchiesta o un approfondimento che gli altri non avevano mandato in onda o avevano mandato in onda per esclusivo “interesse privato”.

La vendita di una tv nazionale, non è una questione che riguarda solo o tanto i giornalisti, né solo gli azionisti e gli analisti di Borsa e neppure – in questo particolare caso – riguarda solo i manager di Telecom. Riguarda tutti.

Anche questa Tv, come la Rai pubblica, è infatti “bene comune e pubblico”. L’informazione non ha proprietà, non ne dovrebbe avere. E’ un diritto costituzionale e come tale è di tutti. E’ vero che spesso nel nostro Paese i giornalisti ne hanno fatto un “cattivo uso”, cioè un uso privato o per conto terzi. Ma la vendita de La7 riguarda tutti (anche se ne parlano pochi e i soliti) se non altro perché le frequenze (le autostrade dell’informazione Tv) sono un patrimonio pubblico concesso a un privato che poi è tenuto a far scorrere su quelle autostrade informazioni e notizie di interesse pubblico. Anche le autostrade dell’informazione rimangono proprietà di tutti.

L’informazione Tv – sia quella a proprietà pubblica che quella a capitale privato – appartiene a tutti quelli che pigiano e scelgono un tasto. Dunque, quando uno di questi luoghi dell’informazione viene messo in vendita, la storia riguarda la cittadinanza, la comunità, il Paese. Perché entra in gioco la libertà (di tutti) di pigiare anche quel tasto e di trovare quello che si cerca.

Credo che di questa “libertà e pluralità di tasti” ci sia estremo bisogno, in Italia. Non ce n’è mai abbastanza e in Italia non ce n’è abbastanza.

L’informazione a La7 ha provato ad essere, in questi ultimi anni, libera. Ci ha provato. Ognuno può e deve criticare il modo, le scelte, il taglio delle notizie. Ma è indubbio che l’emittente che mi dà lavoro ha almeno coperto buchi che gli altri – un rigidissimo duopolio dei cui limiti non devo certo parlare ai lettori de Il Fatto Quotidiano – lasciavano aperti, spesso voragini più che buchi.

Se questa vendita di questo “bene comune” è interesse di tutti, posso suggerire pochi dubbi e problemi di interesse pubblico legato a questa vendita?

1) Attenzione, perché quando un bene comune va in vendita, c’è sempre qualcuno pronto a “privatizzarlo” (nel caso dell’informazione – diverso da ferrovie, energia o poste – può significare “spegnerlo”).

2) L’esito di questa vendita dipende da chi compra questo “bene pubblico”. Certo Telecom vuole disfarsene perché costa e costa (per lei) troppo. Ma in Italia, parlare di “mercato Tv” è veramente difficile, come insegnano perfino le reprimende dell’Unione Europea. E dunque cosa accadrebbe se questo bene comune lo comprasse – anche per conto terzi – uno degli “attori” già presenti sul mercato?

3) Fortunatamente, il governo Monti ha stoppato l’assegnazione gratuita delle frequenze tv, come progettava di fare il governo Berlusconi. Cioè ha detto no al regalo ai soliti noti di un “bene pubblico e comune” (le frequenze oggi non assegnate) che vale 16 miliardi di euro. Se le frequenze de La7 saranno “privatizzate per essere spente” o comunque marginalizzate, il panorama dell’informazione sarà ancora meno plurale di prima. Un deserto.

Per queste ragioni e per questi legittimi dubbi, attenzione a non considerare la vendita de La7 un “affare privato”.

4) E’ strana questa vendita. Una a una, sono svanite le offerte di due grandi network internazionali che, al di là di quel che ne avrebbero fatto, avrebbero “fatto mercato”. Sarebbe stata la prima volta, dal 1954 (data di nascita della tv in Italia), che grandi imprese (e per di più non italiane) del settore investivano nella tv in Italia. Perché quelle due imprese che avevano espresso interesse se ne sarebbero scappate? Solo perché i conti non tornavano, oppure per quale altra stagione?

Odio le frasi fatte, ma stavolta, per le ragioni e i dubbi espressi qui, spero che il detto “tanto rumore per nulla” valga nel complicato caso della vendita di TiMedia e de La7. Io lavoro qui, e spero che Telecom resti l’editore, perché, anche se la tv non sarà il suo business ma essendolo stato – suo malgrado – per anni, questa azienda ha permesso (anche solo per caso o per distrazione) a chi ha lavorato a La7 di avere margini accettabili (sic!) di libertà.

E, a chi l’ha seguita da casa, ha almeno garantito il diritto di poter cambiare canale.

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