Sette deputati repubblicani del Congresso Usa hanno formalmente richiesto ai vertici di Twitter di chiudere l’account di Hamas. O meglio, del suo braccio armato Alqassam Brigade. In una lettera inviata ai gestori del sito di microblogging e alla Fbi, hanno scritto nero su bianco le loro motivazioni che difficilmente danno adito ad interpretazioni. Cambiano i tempi, cambiano i modi e cambia anche il modo di affrontare una guerra. La rete e i social network sono entrati nella quotidianità e lo hanno fatto anche in modo prepotente nei recenti scontri nella striscia di Gaza. Proprio Twitter è stato negli scorsi giorni il palcoscenico per annunci, video, smentite e prese di posizione fino addirittura alla proclamazione ufficiale da parte del profilo della difesa israeliana dell’inizio degli attacchi: “Le forze di difesa israeliane hanno iniziato un’operazione su siti terroristici e operativi nella striscia di Gaza, guidati anche da Hamas e dalla Islamic Jihad”. 140 caratteri sono bastati per annunciare l’inizio degli scontri e con la stessa facilità sono stati postati resoconti fotografici anche su Instagram.

Il repubblicano Ted Poe del Texas, portavoce della lettera, ha commentato così quella che sembra essere una forte provocazione: “Consentire a organizzazioni terroristiche come Hamas di operare su Twitter, significa in qualche modo, supportare il nemico. Non bloccare l’accesso, permette al gruppo di diffondere liberamente la propria propaganda violenta, mobilitando così nuove forze nella guerra contro Israele. Anche altri gruppi stranieri terroristici anti-americani stanno facendo la stessa cosa ogni giorno”. Insomma, per i deputati a stelle e strisce, anche il sito di microblogging, se usato da gruppi terroristici, diventa a sua volta terrorismo o per lo meno un mezzo con cui diffondere con facilità messaggi di violenza. “L’Fbi e Twitter – ha aggiunto – devono riconoscere al più presto possibile che i social media sono uno strumento prezioso per i terroristi”. La chiusura del profilo di Hamas su Twitter in realtà non è stato sviluppato direttamente nella lettera proposta dai deputati americani. La proposta era stata infatti avanzata negli scorsi giorni da un gruppo cristiano pro-Israele (Cufi) tramite le parole del pastore John Hagee: “Quando si tratta di una campagna militare nel territorio israeliano, c’è poco che noi, in America, possiamo fare per aiutare. Ma quando parliamo invece di questo secondo conflitto, la guerra combattuta su Twitter, abbiamo qualcosa di molto importante da dire. Il fatto è che è illegale per una società americana come Twitter fornire servizi ad Hamas”.

Secondo la tesi sostenuta dal Cufi, gli Stati Uniti hanno inserito Hamas nella lista dei gruppi terroristici internazionali. Stando alle leggi federali, inoltre, è illegale per ogni compagnia americana fornire “materiale di supporto” ai terroristi. “La legge – precisa Hagee – specifica che come materiali di supporto devono essere intesi anche eventuali servizi e attrezzature per le comunicazioni. Twitter sta quindi fornendo ai terroristi di Hamas un importante servizio, così come una potente ‘attrezzatura di comunicazione’ che è cruciale per portare avanti la loro campagna”. I deputati statunitensi sono a conoscenza che, fino a prova contraria, una richiesta del genere andrebbe contro le leggi sulla libertà di parola ed è infatti importante notare come nella loro richiesta non ci sia l’intenzione di approvare una legge che imponga il blocco del profilo, ma di come i vertici di Twitter vengano invitati a farlo. Al momento l’Fbi non ha ancora risposto in forma ufficiale ma ha comunicato che si sta analizzando la richiesta per valutare la reale potenzialità di rischio. Nessuna reazione da parte della stampa araba. Bocche cucite anche dalla dirigenza del sito di microblogging in attesa, forse, di un pronunciamento dell’Fbi prima di effettuare qualunque mossa che potrebbe compromettere l’immagine dell’azienda nei confronti del mondo. Nel frattempo, il profilo su Twitter rimane attivo.

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