C’è un terzo pretendente, questa volta italiano, per l’Alcoa di Portovesme. E’ la KiteGen Research S.r.l. di Chieri, nulla a che fare con l’alluminio, visto che il suo business è l’energia. Ma è proprio per questo che è interessata allo stabilimento. Infatti l’azienda sarda è la più affamata di energia in Italia, consuma 2mila e 300 gigawatt ora all’anno e adesso che non può più contare su sovvenzioni statali (ha ricevuto circa 3 miliardi di euro per le ‘bollette della luce’) ha deciso di chiudere i battenti, magari per emigrare verso l’Arabia Saudita e i suoi pozzi di petrolio. Per Massimo Ippolito, patron della KiteGen, però, l’Italia non ha nulla da invidiare al paese mediorientale. Anzi, secondo le sue stime (basate sugli studi della rivista scientifica Nature Climate Change) dal vento troposferico il Belpaese può ‘estrarre’ l’equivalente di 24 milioni di barili di greggio al giorno, grazie alle tecnologie brevettate dalla sua società.

La proposta di Ippolito, inviata al ministero dello Sviluppo economico, all’Alcoa e alla Regione Sardegna è di alimentare l’alluminificio con le sue ‘fattorie del vento’. Per l’Alcoa servono circa 200 macchine, simili all’impianto sperimentale di Sommariva Perno, che coprirebbero circa 1 km quadrato di territorio. Queste, spiegano dalla KiteGen “produrrebbero i 300 mega watt necessari allo stabilimento Alcoa, con disponibilità annue di oltre 5 mila ore. La spesa corrente energetica di Alcoa calcolata a 30 euro a MWh sarebbe già sufficiente a ripagare l’investimento sui generatori in circa due anni”.

Il costo stimato per l’operazione è di circa 200 milioni di euro (1 milione a macchina), il tutto finanziabile dall’Unione europea. Ippolito spiega tutto con una battuta: “Un’azienda ‘cotta’ la si compra a un euro e io ce lo metto. Quello che serve è la volontà politica nazionale, solo grazie al sistema-Paese possiamo accedere ai fondi europei Emission trading system (destinati dall’Ue a progetti innovativi per ridurre le emissioni di carbonio e raggiungere gli obiettivi del protocollo di Kyoto, ndr). Grazie a questi si potrebbero generare ulteriori introiti, derivanti dalla vendita dei diritti di emissione”. Per ora alla lettera ufficiale di manifestazione di interesse all’acquisizione dell’Alcoa ha risposto il presidente della Sardegna Ugo Cappellaci, che ha incontrato i vertici dell’azienda. Mentre dal governo, a quanto risulta alla KiteGen, non sembrano entusiasti, con il ministro Corrado Passera che ha parlato di tecnologia da verificare.

In effetti la KiteGen (fondata nel 2007) non ha ancora venduto nessun impianto, ma dal 2011 ad oggi ha messo in piedi il primo prototipo di fattoria del vento, che ha ancora qualche piccolo dettaglio tecnico da sistemare. Si tratta di un aquilone (tecnicamente si chiamano profili alari) in grado di captare i venti di alta quota (800-1000 metri, potenzialmente anche di più) e produrre energia eolica.
 Si comporta come una specie di ‘yo-yo’ che, srotolando una bobina di cavo, produce energia rinnovabile.
 Quando la bobina è completamente srotolata, viene modificata l’aereodinamica della vela, che perde quota e in pochi secondi viene riavvolto il cavo. Poi il processo produttivo rincomincia. Nel complesso l’ala passa oltre il 90 per cento del tempo in regime ‘produttivo’ ed il 10 per cento del tempo in fase di recupero.

Dalla KiteGen spiegano: “E’ come aver costruito la prima auto e dover creare il primo pneumatico dal nulla; siamo in quella fase”. Il problema maggiore che l’azienda ha incontrato finora però non è di natura ingegneristica, ma è la corruzione. “In teoria dovrei avere 78 milioni di euro – spiega Ippolito – vinti in numerosi bandi nazionali e regionali su diversi progetti. In realtà non mi è mai arrivato un euro. Diversi faccendieri però mi hanno fatto sapere che con poche decine di migliaia di euro avrei risolto tutto. Non ho pagato e quindi aspetto”.

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