La coppa dalle grandi orecchie compie vent’anni, e fa un ulteriore passo avanti nella sua aspirazione a diventare un vero e proprio campionato continentale. Agli albori degli anni novanta la vecchia Coppa dei Campioni cambia infatti formula, riorganizzandosi con una fase a gironi per accogliere non solo le squadre campioni nei rispettivi campionati, ma anche le seconde (e poi le terze e le quarte). E proprio nel 1992, all’indomani della firma del trattato di Maastricht, assume l’attuale denominazione di Uefa Champions League: con tanto di logo e di inconfondibile jingle. Dalle 16 squadre che presero parte alla prima edizione del 1955, alle 76 che partecipano oggi ai preliminari, per ridursi poi a 32 nella fase a gironi, la Champions è oramai prodromo a quel campionato europeo per club che, sempre che regga la sua controparte politica, è oramai prossimo al compimento.

Siamo solo alle prime battute, ma già la sfida di oggi tra i campioni in carica d’Inghilterra e di Spagna – i due campionati più seguiti nel mondo – ha un appeal globale che supera di gran lunga quello dei vari campionati nazionali. Real Madrid e Manchester City aprono il ‘gruppo della morte’: un girone spettacolare di cui fanno parte anche la nobile decaduta Ajax e lo spavaldo Borussia Dortmund, al secondo titolo consecutivo in Bundesliga. Per il Real non inganni né il -8 che già accusa in campionato dal Barcellona (in campo domani in un girone assai più semplice con Benfica, Celtic e Spartak Mosca), né le solite polemiche alimentate ad arte da Mourinho. La coppa è la casa del Real, che ne ha già portate a casa più di tutti (9) e punta ad essere allo stadio londinese di Wembley il 25 maggio, giorno della finale.

Il Manchester City rappresenta invece la nouvelle vague del calcio europeo, nata grazie alle iniezioni di petroldollari di proprietà arabe o russe, di cui fanno parte anche il Chelsea detentore del trofeo (che domani a Stamford Bridge ospita la Juve nell’altro big match settimanale) e il Paris Saint-Germain. A Parigi in campo stasera contro la Dinamo Kiev ci sarà il meglio della oramai depauperata Serie A: da Thiago Silva a Ibrahimovic, da Verratti a Pastore e Lavezzi. Impensabile fino a pochi anni fa una tale fuga di campioni all’estero, e per di più verso la Francia. Ma questo è lo stato attuale del calcio, dove l’Italia arranca nelle retrovie. Anche se è doveroso notare come le tre rappresentanti del nuovo corso calcistico europeo, nella loro opera di costruzione, si affidino a tecnici di casa nostra: Mancini, Di Matteo e Ancelotti.

E come, più in generale, l’Italia sia la nazione che porta più allenatori (6) in Champions: oltre ai tre citati anche Conte (o Carrera, dato che la Uefa ha esteso la squalifica del tecnico bianconero per il calcioscommesse anche alle competizioni internazionali), Allegri e Spalletti, che alla guida dello Zenit sarà proprio l’avversario più insidioso nel girone del Milan, che esordisce stasera a San Siro contro l’Anderlecht. Se il calcio italiano esporta conoscenze tramite i suoi tecnici, il Paese porta però solo due squadre nel ventennale della Champions, come non accadeva dalla stagione 1998-99. L’eliminazione dell’Udinese nei preliminari con il Braga è infatti una sconfitta dalle molteplici implicazioni.

Negli anni Novanta l’Italia porta 9 squadre in finale Champions (4 vinte, oltre a 13 finali di Coppa Uefa, 8 vinte, e 5 di Coppa delle Coppe, 4 vinte). Nel nuovo secolo le finali sono 5 e le vittorie 3, ma il trend complessivo è l’eliminazione in massa agli ottavi, o ai quarti. Dalla stagione 2010-11 poi, la Serie A invece che 4 squadre ne qualifica solo 3, di cui una ai preliminari, essendo stata superata nel coefficiente Uefa dalla Bundesliga. E oggi, più che pensare di riprendere la Germania, l’Italia deve guardarsi dall’avanzata portoghese (ecco il Braga che elimina l’Udinese) e francese. Ma è già da anni che per ammirare nei propri stadi le magie di Messi e Ronaldo, Van Persie e Aguero, gli sportivi italiani aspettano la Champions League, il primo campionato continentale. Lo spettacolo può cominciare.

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