Non condivido nulla del non-programma di Grillo, non mi piace il suo linguaggio ducesco e demagogico, non mi piacciono gli insulti qualunquisti che rovescia sulle istituzioni, non mi piace l’allergia al confronto, il rifiuto di interviste e dibattiti, non mi piace la nebbia che avvolge i meccanismi di selezione e di confronto interno di un movimento che è nato in nome della partecipazione e della trasparenza. 

Ma derubricare, in buona o in cattiva fede, il “grillismo” a isterismo antipolitico sarebbe un errore. 

Perché ci sarà un motivo se il movimento di Grillo è diventato, secondo alcuni sondaggi, il secondo partito d’Italia, e da qualche mese governa una città molto “borghese” e assai poco rivoluzionaria come Parma. E il motivo è uno solo: il triste spettacolo di un sistema in decomposizione (la partitocrazia della Seconda Repubblica) che, dopo aver infestato il paese con la sua “antipolitica di Palazzo”, si aggrappa a ogni possibile scialuppa pur di sopravvivere al suo stesso fallimento. 

Per questo, davanti a un sistema partitocratico che non accenna a fare alcun passo indietro, sarebbe bene che quell’area, cosiddetta “centrale” e “riformatrice”, che vuole sì superare la Seconda Repubblica ma vuole farlo con toni, contenuti e programmi che sono agli antipodi rispetto alla crociata antieuropea e populista di Grillo, facesse propria l’istanza “rinnovatrice” del M5S (l’unica cosa davvero “maggioritaria” e, per quanto mi riguarda, condivisibile della piattaforma grillina). Ci vorrebbe un grillismo tranquillo, insomma. Un grillismo lib-dem. E vedrete che prima o poi il Grillo “di centro” arriverà. Per fortuna. 

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