Colpevoli di vandalismo, motivato da odio religioso. Per quasi tre ore il giudice Marina Syrova ha letto la sentenza a carico di Nadezhda Tolokonnikova, Maria Alekhina e Ekaterina Samutsevich, le componenti del collettivo punk femminista Pussy Riot condannate a due anni di carcere per aver inscenato sull’altare della cattedrale del Cristo Salvatore a Mosca una preghiera per chiedere alla Madonna di liberare la Russia da Vladimir Putin. Una sentenza che l’ambasciata statunitense in Russia via twitter ha giudicato “sproporzionata rispetto alle azioni”.

Per la corte si è trattato di un atto che ha minato l’ordine sociale, sacrilego verso i credenti, e diretto a criticare la Chiesa ortodossa, i cui sacerdoti, ha spiegato il giudice, sono gli unici autorizzati a pregare sull’altare. Non un gesto politico, almeno secondo i giudici, come invece ha sempre sostenuto il gruppo dissidente in prima linea nella contestazione contro Putin e il vertice del Cremlino, accolto all’uscita dall’aula dagli applausi dei sostenitori. È il secondo colpo della giornata contro la libertà di espressione in Russia. Quasi in contemporanea al verdetto contro le tre ragazze, la Corte Suprema confermava il divieto di organizzare manifestazioni per l’orgoglio omosessuale nella capitale russa, per i prossimi cento anni, respingendo il ricorso presentato dall’attivista per i diritti Lgbt, Nikolay Alexeyev. Le tre Pussy Riot sono in carcere da marzo, in detenzione preventiva. Rischiavano sette anni, ma dopo un richiamo dello stesso Putin a una condanna più lieve, l’accusa ne aveva chiesti tre. Il verdetto alla fine è stato meno duro di quanto previsto. Cogliendo di sorpresa anche alcuni osservatori che ritenevano improbabile una sentenza che non rispecchiasse le richieste dell’accusa. Anche per la dirigenza, si legge in un commento della Ria Novosti, la decisione sarebbe state tutt’altro che scontata stretta tra il probabile riemergere delle proteste dell’ala liberale e il rischio di scontentare i conservatori vicini alla Chiesa. Per i familiari delle condannate, per i loro sostenitori e per l’ambasciata statunitense a Mosca si tratta invece di un verdetto sproporzionato.

Le Pussy Riot erano state fermate alla vigilia del voto che aveva riportato Putin sulla poltrona di capo dello Stato, dopo l’intermezzo della presidenza Medvedev. Il 21 febbraio nella chiesa più importante per la Chiesa ortodossa russa, andò in scena lo spettacolo delle tre ragazze mascherate. Pochi minuti, un’azione veloce , poi trasformata in post-produzione nell’esortazione anti-putiniana rivolta alla Madonna con l’aggiunta della musica e delle parole alle immagini filmate in chiesa. Non fu la prima azione del collettivo formatosi nell’ottobre del 2010 e che a gennaio si era reso protagonista di un altro flash mob sulla Piazza rossa per denunciare il “regime sessista” di Putin, allora ancora primo ministro. Ore prima della lettura della sentenza, la polizia era già schierata attorno a tribunale nel distretto di Khamovnichesky. Ieri, ha riferito l’agenzia Interfax il giudice Syrova aveva richiesto la scorta dopo le “continue minacce”ricevute negli ultimi giorni. Radunati davanti al tribunale c’erano tanto i detrattori del gruppo quanto i sostenitori, come il blogger anticorruzione Alexei Navalny anche lui in questi giorni al centro di un caso giudiziario con l’accusa di aver truffato una società statale. Una vicenda sulla cui riapertura tuttavia pesano le sue critiche al sistema di potere russo. Fermati decine di manifestanti tra cui il leader di sinistra, Sergei Udaltsov e l’ex campione di scacchi Garry Kasparov, ora paladino dell’opposizione. Folta anche la presenza dei giornalisti. D’altra parte nelle ultime settimane il caso aveva attirato l’attenzione dalla stampa internazionale. Il gruppo era forte del sostegno ricevuto dal mondo dello star system globale, costato insulti su twitter a Madonna, e che tra gli altri aveva dalla propria come Sting, i Red Hot Chili Peppers, Yoko Ono,l’italiano Vasco Rossi e da ultimo Paul McCartney.

Per le strade di Mosca i volti di decine di statue sono invece stati coperti con passamontagna colorati, tratto distintivo del collettivo, mentre sui social network si raccoglievano le adesioni per manifestazioni solidarietà le Pussy Riot, in diverse città del mondo, in Italia a Firenze e Milano. Il processo ha diviso la società russa. Un sondaggio del Levada center pubblicato alla fine di luglio, mostrava come il 58 per cento dei russi, sia credenti che non credenti, considera eccessivo il ricorso alla carcerazione. Il 33 per cento era però favorevole a qualche forma di custodia. Due di loro sono madri e molti credenti, sebbene scossi da quello che il patriarca Kirill ha definito un gesto blasfemo, non condividono la scelta della detenzione e l’aver allontanato le ragazze dai propri figli. Dal canto loro le ragazze hanno rivendicato il carattere politico della protesta e negato di aver voluto offendere la religione o i sentimenti dei credenti. “La nostra detenzione è il segno che il Paese è stato spogliato della propria libertà”, ha scritto Tolokonnikova in un messaggio consegnato al suo avvocato, “ciò che mi manda in bestia è la minaccia di voler distruggere le forze che voglio portare la Russia alla libertà e all’emancipazione”. Politica è anche la critica a Kirill che, ricorda Ria Novosti, succeduto a Alessio II nel 2009 era inizialmente considerato un modernizzatore e in questi giorni si trova a Varsavia per uno storico riavvicinamento con i cattolici polacchi. Ma sul leader della chiesa russo ortodossa pesa ora il sostengo concesso a Putin, definito un miracolo di Dio, e alla dirigenza russa. Oltre che lo stile di vita non certo morigerato di molte delle alte sfere delle Chiesa. Legato ai sentimenti religiosi dei russi, a livello mondiale e tra l’opposizione al Cremlino il caso delle Pussy Riot è invece letto attraverso al lente della repressione del dissenso nella Russia putiniana. Dal suo insediamento a maggio, il presidente non ha mancato di apporre la sua firma per promulgare diverse leggi allo scopo di tenere sotto controllo l’opposizione come quella che definisce agenti stranieri le organizzazioni non governative che ricevono finanziamenti esteri. Un termine che rimanda all’epoca sovietica, quando chiesa e Stato non andavano ancora l’uno affianco all’altro.

In attesa della sentenza si sono svolte alcune proteste a sostegno della band, da Mosca a Berlino. A Kiev Inna Shevchenko, una femminista del gruppo ucraino Femen, a seno nudo ha distrutto una croce cristiana di legno alta quattro metri, dedicata nel 2005 alle vittime della repressione stalinista e della carestia negli anni ’30. A Milano è stato organizzato un presidio in via Dante organizzato dall’associazione ‘Annaviva’, il cui nome si ispira ad Anna Politkovskaja, a cui hanno partecipato agli assessori Pierfrancesco MaranCristina Tajani. Mobilitazioni anche davanti all’ambasciata russa a Berlino e ad Amburgo. Tra gli intervenuti nella capitale tedesca l’inviato speciale del governo Merkel per i diritti umani, Markus Loening.  “Per quanto comprendiamo che il comportamento del gruppo sia risultato offensivo per alcuni, abbiamo gravi inquietudini sul modo in cui queste giovani donne sono state trattate dal sistema giudiziario russo”, ha dichiarato inoltre il viceportavoce della Casa Bianca, Josh Earnest. Il governo di Barack Obama è “deluso” per lo “sproporzionato” verdetto emesso oggi, ha concluso.

di Andrea Pira

Articolo Precedente

Sudafrica, polizia spara su minatori in sciopero: trentaquattro morti

next
Articolo Successivo

Pussy Riot, la “vittoria” della nuova Russia

next