Due recenti ricerche sui livelli retributivi dei dirigenti del settore profit rispetto ai loro dipendenti e sul confronto tra i salari nel settore profit e non profit offrono lo spunto per capire e misurare il livello di equità e coesione sociale del nostro Paese.

Secondo Frontis Governance, una società di consulenza per gli azionisti di minoranza delle imprese quotate in borsa, il capo di un’azienda italiana quotata in Borsa guadagna ben 143 volte la retribuzione media dei propri dipendenti. Con punte assolutamente sconvolgenti, come il caso dell’amministratore delegato di Pirelli Marco Tronchetti Provera che nel 2011 si è intascato il corrispettivo del salario medio di ben 877 lavoratori della sua azienda. In questo, per una volta, siamo ai vertici delle classifiche europee: solamente in Inghilterra i capi azienda sono più pagati dei nostri. E, si badi bene, il dato è assolutamente anticiclico: siamo nel pieno di una recessione drammatica, si riformano pensioni ed impongono nuovi balzelli per recuperare risorse, ma la retribuzioni degli amministratori delegati delle principali aziende italiane quotate sono aumentate di ben il 20% rispetto ai corrispondenti valori del 2010.

Veniamo adesso al gap retributivo tra il settore profit ed il non profit. Secondo l’indagine realizzata dall’Osservatorio sulle risorse umane del comparto non profit di Hay Group, i dirigenti delle aziende profit guadagnano in media il 70% in più dei loro omologhi non profit, forbice che si riduce al 40% nei quadri ed al 30% negli impiegati. Facciamo di nuovo il confronto con il mondo anglossassone, da sempre considerato virtuoso per quanto concerne la gestione del terzo settore: qui la forbice salariale tra profit e no profit sostanzialmente non esiste ed i livelli retributivi sono equiparati.

Da sottolineare che il gap sopracitato si è ridotto notevolmente negli ultimi 5 anni, in quanto una ricerca simile svolta nel 2006 rilevava una differenza nei valori retributivi del 120%. E sapete perché? Non perché il settore non profit abbia oggi più risorse, anzi: ma perché si è rafforzato il processo di osmosi, con la crescente attrazione di professionisti del profit che hanno scelto una carriera nel sociale, portandovi le proprie motivazioni ideologiche insieme alla capacità di negoziare il proprio salario verso l’alto, reclamando quanto ritengono dovuto per le competenze messe in campo.

Qui non interessa tanto entrare nel merito del quanto e se tutto ciò sia equo: ma certo vengono i brividi a pensare ad una schiera di 877 dipendenti Pirelli che in un anno incassano quanto una sola persona, oppure a manager con responsabilità enormi nella gestione di programmi di welfare a beneficio di tutta la popolazione che guadagnano molto meno dell’amministratore delegato di un’azienda che commercializza suonerie per cellulari. Forse non è giusto alzare i salari del non profit e pagare di più i lavoratori, forse: ma certo vedendo questi dati viene in mente Maurizio Crozza quando, nel momento di massimo allarme per lo spread, diceva alla Merkel: “Angela, l’Italia è in crisi per lo spread, la Spagna è in crisi per lo spread, ora pure la Francia inizia ad impaurirsi per lo spread: ma scusa, invece di far correre tutti noi come dei matti per inseguirti, non puoi fermarti un po’ tu?”

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