Nella Modena anni  Sessanta e Settanta o lavoravi in fabbrica, o lavoravi per il partito o andavi al bar Grand’Italia; con questa frase Massimo Masini, storico ufficiale dell’era beat modenese, rende perfettamente idea dell’atmosfera che si respirava in quella che il compianto Romano “Panzer” Rossi (paroliere e intellettuale, ma non solo), definì una specie di paninoteca filosofica. Andare al Grand’Italia per capire cosa combinare nella vita, per trattarsi bene, per non buttare gli anni migliori in altro modo; in compagnia di musicisti, artisti, studenti, sognatori vari; lì nascevano Guccini, l’Equipe 84, i Nomadi, Bonvi… così per dire.

In poche parole la nostra città era diventata la capitale del Beat, e il Grand’Italia ne era la sede ufficiale. Nella Modena di oggi, tra case Enzo Ferrari, parcheggi, housing sociale, piscine nei parchi, forse abbiamo dimenticato il progetto più importante, la Beat house, non certo un museo qualunque, come potete immaginare; e l’idea, nata sempre da Massimo Masini, meriterebbe di essere ripresa, anche per fare un piacere ad un altro modenese illustre, Edmondo Berselli, che di quell’epoca, godereccia e ribelle era figlio.

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