Si può dire di no.

A chi ha venti anni e pretende dal suo tempo la possibilità di raccontare fatti, Indro Montanelli, prima ancora che lo stile, gli articoli, i libri, lascia in eredità il valore che nella vita, non solo in quella professionale, ha il fatto di scegliere.

E non è questione di essere o apparire, è di più: è questione di cosa essere.

In un contesto di uomini trasparenti come il nostro, dove i più aspettano proni di essere sfamati, dove vince sempre il “corruttore che ha bisogno di una serie di piccoli corrotti, perché la sua non sia soltanto una pratica, ma diventi anche esempio”, una persona (e voglio che sia semplicemente così, una persona) che dica NO, può essere il granello che fa inceppare una macchina altrimenti infallibile che mira maniacalmente a togliere il fiato ai pochi che ancora con voglia griderebbero: “Io ci sono”.

Per Camus il “giornalista è lo storico dell’istante”, e forse è proprio di istanti che è giusto parlare, ma non di quelli che si scrivono, piuttosto di quelli che si rubano; Montanelli ha rubato i suoi istanti di vita, li ha rubati ai mercanti di popoli mettendo inchiostro nero su pagine bianche, con la spudoratezza di chi ha in mano soltanto due armi eppure è inespugnabile: i fatti e la dignità.

Mi piace tenere questo riferimento, perché quando ti dicono: “prima o poi dovrai arrenderti”, a me viene da pensare a lui (ed ai professionisti che fecero lo stesso) che fiero e consapevole si arrende al proprietario, certo, ma non al padrone. Era una cosa difficile quella. Bastava non dire di no, bastava accodarsi, nessuno avrebbe rinfacciato niente a nessuno, anzi. Invece prese la SUA decisione, scelse che arrendersi, in quel caso, voleva dire lottare.

Adesso l’aria sarebbe ancora più irrespirabile, e ad un tratto avrebbero ragione, ragione assoluta, tutti quelli soddisfatti e paffuti che rinunciando ai loro istanti hanno ottenuto il loro tuffo nella mangiatoia, resi insopportabili dalla complicità del “così fan tutti”. E ridacchiano sotto i denti.

Sarebbe tutto ancora più scontato, leggero, sarebbe la religione unica del nostro modo di fare (aspirare a fare) giornalismo; e invece adesso il precedente c’è, e seppure diranno che i tempi sono cambiati, che non è il caso di farsi illusioni, ognuno di noi avrà il diritto di dire che questa storia c’è stata, è una cosa, ma è vera, E’ realtà; e non potranno contraddirci.

A Indro Montanelli la nostra Italia maneggiona e spensierata non ha perdonato il fatto di non aver reso della libertà un’immagine semplice, reperibile a buon mercato: in questo era conservatore, come la sua lettera 22 che dopo mezzo secolo senza inchini ruffiani ed “agghindati a festa” ha trovato pace su quella deliziosa scrivania di legno scuro, a tre passi dalla poltrona di tessuto verde, a godersi la sua sottile vittoria: la contemporaneità.

Mattia Volpi