Il calo è lento, ma costante. E nessuno è in grado di prevedere per quanto tempo ancora potrà proseguire. Forse quattro, cinque anni. Di sicuro, fino a quando non verrà smaltito integralmente lo “stock” d’invenduto, che pesa come un macigno non solo sul settore ma sul complesso dell’economia spagnola. L’immobiliare, a lungo il motore del boom, l’artefice di una crescita scomposta e drogata, è ora il grande malato che si cerca di tenere in vita a tutti i costi, pur sapendo che non potrà più recuperare una salute smagliante. Calano i prezzi delle case, ma non ancora tanto quanto ci si potrebbe aspettare. L’ultimo dato dell’Ine (Instituto Nacional de Estadística) parla di una riduzione dell’11,2 per cento nel valore degli immobili di nuova costruzione per il quarto trimestre del 2011. In tre anni, il crollo è stato del 21,9 per cento. Ma è ancora troppo poco, se si considera che in Spagna ci sono ancora un milione e mezzo di appartamenti nuovi invenduti, secondo i calcoli del portale Fotocasa. Una cifra a cui bisogna aggiungere circa altri tre milioni di immobili vuoti.

Un’eredità pesante, frutto della “burbuja”, la bolla speculativa favorita dalla “ley del suelo” del 1998, ai tempi del governo di José Maria Aznar. Anni in cui il mattone sembrava una inesauribile fonte di ricchezza, i palazzinari iberici devastavano la costa mediterranea, dalla Comunità Valenciana all’Andalusia, e le banche concedevano crediti facili, anzi facilissimi. Tanto ai privati, con mutui fino al cento per cento (che poi la crisi si è incaricata di trasformare in impegni impossibili da onorare per migliaia di famiglie che hanno perso il posto di lavoro) come alle grandi imprese immobiliari, alcune delle quali sono state costrette a dichiarare bancarotta negli ultimi quattro anni.

Per toccare con mano le conseguenze di questa situazione, basta vedere l’elenco dei partecipanti al prossimo Salone immobiliare internazionale (Sima), che riunirà a Madrid a metà aprile le principali imprese del settore. In prima fila, con il loro ingombrante “stock” di circa 150mila case da mettere sul mercato, ci sono tutte le grandi banche, con le loro società create “ad hoc” per gestire un business che hanno subìto più che cercato: Altamira Santander, Bankia Habitat, Bbva Vivienda, Servihabitat (Caixabank). E ancora Casaktua (controllata da Banesto), Catalunya Caixa Inmobiliaria e Solvia, filiale del Sabadell. L’obiettivo degli istituti di credito è quello di sbarazzarsi al più presto degli appartamenti di cui – praticamente loro malgrado – sono tornati in possesso (per il fallimento dei costruttori o i debiti dei privati).

L’operazione non è per niente semplice. Con l’economia ormai in piena recessione, sono sempre meno gli spagnoli disposti ad acquistare una casa. Nonostante il calo dei prezzi, il numero di transazioni immobiliari ha registrato una pesante caduta (meno 29,3 per cento) nel 2011, con appena 347mila case vendute. Ai tempi d’oro del “boom”, nel 2005 e nel 2006, se ne vendevano 900mila l’anno. Ma era anche l’epoca in cui in Spagna si costruiva tanto quanto in Francia, Germania e Regno Unito insieme. Una “febbre” della quale si pagano ancora le conseguenze, anche dal punto di vista dell’occupazione (con la distruzione-record di oltre 2 milioni e mezzo di posti di lavoro solo in questo settore).

Il governo Rajoy ha cercato in qualche modo di correre ai ripari con la riforma finanziaria varata all’inizio di febbraio, che dovrebbe servire a riattivare il credito da tempo paralizzato e a ridurre ulteriormente i prezzi dell’edilizia abitativa. La riforma obbliga le banche e le casse di risparmio a realizzare uno sforzo addizionale in accantonamenti finanziari per ripulire i bilanci dagli attivi immobiliari potenzialmente tossici, che ammontano a 175 miliardi di euro. Un impegno complessivo di circa 50 miliardi, distribuito fra l’anno in corso e, solo per gli istituti che sono in fase di fusione, rinviato al più tardi a fine 2013. E’ per questo che, al più presto, le banche avranno bisogno di liberarsi dell’invenduto, sia per ridurre i rischi sia per disporre di maggiore liquidità. La corsa al ribasso dei prezzi potrebbe così influenzare molto presto anche il resto del mercato, spingendo le compagnie immobiliari a fare lo stesso. Secondo il presidente del G-14, la “lobby” dei grandi costruttori, Fernando Rodríguez-Avial, il cammino per risanare il settore sarà “lungo e difficile”. Ma di sicuro è inevitabile. Basti pensare che tra il 1996 e il 2006 il valore degli immobili si è rivalutato del 160 per cento. E da allora ha perso solo il 20 per cento.

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