Il Regno Unito si interroga sulla propria religiosità. Con accuse al governo Cameron di “ateismo” e di “disprezzo per la fede”. Tutto nasce da due casi finiti davanti alla Corte europea dei diritti umani. Era il 2006 quando Nadia Eweida, un’addetta al check-in della British Airways, venne licenziata perché si ostinava a portare, sulla divisa, una collana con una croce. Lo stesso accadde qualche anno più tardi a Shirley Chaplin, un’infermiera, che venne allontanata dall’ospedale in cui prestava servizio per lo stesso motivo. Il caso è arrivato fino a Strasburgo, dove, però, sono intervenuti anche i legali del ministero degli Esteri inglese. “Indossare una croce non è una manifestazione della propria religiosità e vietare la croce non danneggia i diritti garantiti dall’articolo 9 dello Human Rights Act inglese”, hanno detto gli avvocati. E la polemica è subito scoppiata.
“Cameron non può interferire con la fede”, ha tuonato in un programma televisivo l’arcivescovo anglicano di York, John Sentamu. In realtà, il primo ministro conservatore – preso dalle polemiche – ha subito precisato che il suo “personale punto di vista è che i lavoratori cristiani debbano potere indossare una croce”. Ma il ministro per le pari opportunità, la liberaldemocratica Lynne Featherstone, ha comunque ordinato ai legali del governo di procedere alla Corte europea dei diritti umani con un parere negativo. “Con il battesimo, i cristiani sono marchiati dalla croce di Cristo – ha detto l’arcivescovo Sentamu durante il popolare show del giornalista della Bbc Andrew Marr – e quindi non possiamo loro vietare di portare addosso la stessa croce. Inoltre, è proprio l’articolo 9 della nostra legge sui diritti umani a consentirlo”.
La Chiesa anglicana difende quindi la legge. Ma è proprio contro altre – future leggi – che la stessa chiesa, insieme a quella cattolica, sta prendendo posizione. Il matrimonio gay dovrà diventare realtà entro il 2015, ha ordinato Cameron. “Un abominio”, hanno replicato preti, vescovi e arcivescovi dai pulpiti. E ora proprio il nuovo tema della fede e dei diritti dei credenti riaccende lo scontro fra le gerarchie ecclesiastiche e un governo conservatore. Ma, oltre al sacro, anche il profano. Così, a difesa delle due lavoratrici licenziate è intervenuta anche la famosa e seguitissima cuoca televisiva Delia Smith, da anni portavoce non ufficiale dei cattolici al di qua della Manica. “I nuovi atei sono troppo militanti”, ha scritto Smith sul suo sito, visitato regolarmente da un bacino di due milioni di internauti. “Siamo sotto attacco e dobbiamo far capire che i cristiani ci sono e rispondono facendosi sentire”, ha osservato. Così la cuoca inglese più mediatica ha rilanciato anche la raccolta fondi a favore di associazioni cattoliche di beneficenza, come Cafod, la Catholic agency fo overseas development.
Ma la risposta di Smith è stata anche una replica alle ricerche statistiche dello scienziato – ateo – Richard Dawkins, che avrebbero rivelato, nel Regno Unito, una fede sempre più incrinata. Secondo il ricercatore, negli ultimi dieci anni la percentuale di cittadini britannici che si identificano e si definiscono come “cristiani” è crollata dal 72 al 54 per cento. Il caso delle due lavoratrici andrà avanti nelle aule della corte nelle prossime settimane. Intanto, Cameron è sempre più in imbarazzo e oggi ha fatto sapere, tramite il suo portavoce, che la coalizione al governo, in caso di mancata vittoria da parte dei legali delle due donne, “dovrà legiferare ulteriormente sulla libertà religiosa”. Nel Regno Unito, ogni volta che si fa una domanda di lavoro in un ente o in un’istituzione, ma anche in un’impresa privata, viene richiesto il credo religioso dell’aspirante lavoratore. Indicarlo non è un obbligo, ma recenti indagini dimostrano come sempre più persone tendano a nascondere la propria fede.