I dati sulla raccolta erano noti già da un paio di settimane. Ma adesso a sorprendere è la scoperta del loro peso complessivo sulla crescita del gettito fiscale. Nel corso del 2011 le entrate totali sul gioco d’azzardo hanno consentito allo Stato italiano di incassare 13,7 miliardi di euro con una crescita di oltre 1 miliardo di euro rispetto all’anno precedente che vale, in termini percentuali, un significativo +8,4% (ma si sale al 10,1 considerando solo le imposte indirette sulle lotterie, il gioco del Lotto e simili). Un dato a dir poco impressionante, capace di oscurare la crescita complessiva delle diverse categorie: nel 2011 le entrate totali del fisco hanno chiuso a quota 411,79 miliardi, l’1,2% in più rispetto all’anno passato. L’aumento delle imposte dirette ha registrato un +0,2%, quello delle imposte indirette si è attestato al 2,3%. Insomma, escludendo la lotta all’evasione (+22,7% di entrate derivanti da nuovi accertamenti) nessuna voce ha saputo incidere così tanto come quella del gioco.

La notizia, però, non si limita all’aspetto fiscale. Perché la crescita delle entrate per l’erario evidenzia soprattutto quello che è un fenomeno palese da almeno un decennio. Gli italiani sono sempre più un popolo di giocatori, di appassionati alla scommessa o all’azzardo puro e semplice, talvolta in forma gravemente compulsiva. Nel corso del 2011, ha reso noto l’AAMS , l’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato, il fatturato dei giochi d’azzardo ha sfiorato gli 80 miliardi di euro contro i 61,4 del 2010. Al netto delle vincite pagate e delle tasse pagate allo Stato (cui si sommano quelle versate dai vincitori stessi), i concessionari di Lotto – la cui raccolta, grazie ai famosi numeri “ritardatari” è cresciuta del 30% – , videopoker, gratta e vinci e scommesse sportive varie, si sono portati a casa un guadagno netto di oltre 9 miliardi.

Il fenomeno, come detto, va incontro da anni a una crescita vertiginosa. Nel 1994 il fatturato del comparto non superava i 6,5 miliardi, nel 2005 la cifra era aumentata di quattro volte. All’epoca, il mercato era controllato sostanzialmente da tre società: Lottomatica, Sisal e Snai. Poi la legge Bersani-Visco del 2005 ha spalancato le porte agli operatori stranieri come la greca Intralot, l’austriaca Merkur, l’inglese William Hill, l’anglo-svedese Unibet. Da lì in avanti la crescita è stata costante: 35,2 miliardi di raccolta nel 2006, 42,1 nel 2007, 47,5 nel 2008, 54,4 nel 2009, 61,4 nel 2010 fino ai 79,9 del 2011. Più che una passione, sembrerebbe una vera e propria epidemia.

Il termine non è nemmeno troppo casuale, almeno a leggere qualche rapporto in materia. Di recente, un’analisi del Cnr ha rilevato una presenza di giocatori, anche occasionali (almeno una singola puntata nell’ultimo anno) pari al 42% del campione studiato. La percentuale dei giocatori “problematici” ammontava al 9% nella fascia 15-24 anni e all’8% dei giocatori “adulti”. Nel 2007, il Rapporto Italia di Eurispes, su dati forniti da uno studio della Società italiana di intervento sulle patologie compulsive (Siipac), aveva stimato in 700 mila unità il numero dei malati di gioco d’azzardo patologico. Lo studio sosteneva che alla categoria appartenesse il 5,1% degli studenti (con il 9,7% a rischio dipendenza) contro una media nazionale compresa tra l’1 e il 3%.

Proprio la propensione dei giovani alla dipendenza da gioco è stata al centro di un dibattito accesosi ulteriormente negli ultimi tempi. Da più parti si è chiesto al governo di intervenire per bloccare con una legge le contestate pubblicità sul “gioco responsabile” con le quali, di fatto, viene promossa l’attività dei monopoli. Un piano legislativo di intervento sulla dipendenza, invece, è ancora assente. L’ultimo ‘Atto di indirizzo sulla politica fiscale’, comunque, impegna formalmente l’esecutivo a operare nel contrasto ai fenomeni di “ludopatia, gioco compulsivo e gioco da parte dei minori” e a quelli “di esercizio illegale e non autorizzato del gioco” con l’obiettivo, tra le altre cose, di “consolidare il gettito fiscale”. Adesso, ovviamente, si attende anche il provvedimento di legge.

(Ha collaborato Paola Baiocchi, redazione Valori)

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