Lunedì scorso in consiglio comunale arriva una delibera sulla moschea di Modena. L’edificio è fatiscente, i cittadini che la frequentano chiedono di poterla sistemare e magari di ampliarla, insomma cose da tecnici, potrebbe scapparci qualche sbadiglio. Invece no, a sorpresa Maurizio Dori (Pd) legge una lettera molto veltroniana firmata dai giovani musulmani modenesi: l’atmosfera cambia, parte l’ennesimo scontro tra fazioni, qualche consigliere del Pd deve dimostrare ai musulmani presenti, che è dalla loro parte, qualche esponente dell’opposizione, invece, incomincia a parlare di chiese e crocifissi, magari di censimento degli stranieri.

Il simposio prosegue, qualche politico si lascia andare ad ammiccamenti e sorrisi verso il giovane pubblico e c’è chi afferma che in Egitto non ci sono chiese, chi, infine, si indigna perché i ragazzi alle loro spalle non sono stranieri, ma stranieri italiani (segnalerei la definizione a Tullio De Mauro). Siamo al varietà, chiedo agli “stranieri italiani di seconda generazione che parlano italiano” se si rendono conto di essere usati per finalità politiche. Qualcuno scuote la testa, ma c’è anche chi sorride e mi dà ragione. Ho semplificato molto, qualche consigliere non ci casca e fa anche domande su destinazioni d’uso e costi, ma avere riuniti così tanti esperti di islam era un’occasione davvero imperdibile per parlare di mura e parcheggi. La primavera araba è ormai inarrestabile.

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