Amazon non venderà più prodotti a base di carne di balena o altre parti di animali in via di estinzione. È il risultato della campagna lampo della Ong europea Environmental Investigation Agency, che in 24 ore ha raccolto oltre 35mila adesioni di persone scandalizzate della notizia. Amazon deve aver fatto rapidamente due conti e scartato immediatamente i prodotti contestati dal proprio catalogo web prima che la protesta, gonfiata su Facebook e Twitter, raggiungesse proporzioni ingestibili.

Gli animalisti dell’Eia avevano scoperto la vendita di ben 147 prodotti a base di balene, delfini e cetacei, tutte specie a rischio di estinzione. Sul portale giapponese di Amazon si poteva addirittura comprare spezzatino e carne di balena in scatola. È bastato che online girasse un breve video con cruente immagini della cattura dei cetacei affinché gli animalisti di tutto il mondo si scagliassero contro il colosso americano costringendolo al rispetto della sua stessa politica che prevede il divieto di commercializzare prodotti derivati da questo tipo di animali.
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Nessuna distinzione veniva fatta tra i grossi cetacei che finivano in scatola in Giappone. D’altronde proprio la caccia alla balena rappresenta la battaglia più dura degli ambientalisti del Sol levante, che da anni cercano di ostacolarne l’attività portata avanti spesso sotto la pretestuosa bandiera della ricerca scientifica. Secondo le associazioni, si tratta della “vergogna più grande” per la reputazione internazionale del Giappone. Le autorità nipponiche erano state duramente criticate lo scorso dicembre, quando, secondo alcuni attivisti, erano stati dirottati sulla caccia alla balena ben 2,28 miliardi di Yen (circa 21 milioni di euro) destinati agli interventi di ricostruzione dopo il disastro di Fukushima.

Sulla protezione delle balene nel mondo c’e’ anche un’International Whaling Commission (IWC), ma al suo interno sono molte le voci discordanti, a partire dal numero di esemplari ancora viventi. Greenpeace, ad esempio, contesta ai delegati giapponesi di continuare ad usare come riferimento cifre dei primi anni 90, mentre già nel 2000 la popolazione di queste balene era stata rivista pesantemente al ribasso. Secondo l’associazione, ad esempio, il numero delle balene blu nell’Antartico e’ arrivata all’uno per cento della loro popolazione originale nonostante 40 anni di protezione.

Indubbiamente il ritiro dei prodotti contenenti carne di cetacei da parte di Amazon costituisce un duro colpo per l’intero settore. Jeff Bezos, direttore esecutivo del portale, è stato seppellito da decine di migliaia di proteste via email, Facebook e Twitter. “La gente vuole vedere questi animali protetti invece che fatti e pezzi e venduti per profitto”, spiega Mark Jones, direttore esecutivo dell’Ong britannica Humane Society International (HSI), che ha partecipato alla ricerca dell’Eia. “Permettendo ai venditori di commerciare prodotti a base di balena, di fatto si sostiene un mercato che dovrebbe essere stato già consegnato ai libri di storia”, ha aggiunto Clare Perry dell’Eia.

Adesso l’associazione ambientalista vuole andare avanti. A suonare la carica è Clare Perry: “Siamo soddisfatti della decisione di Amazon di rimuovere i prodotti derivati dalle balene dal suo portale giapponese. Ma adesso chiediamo con forza che vengano messi al bando in tutto il mondo anche i prodotti che contengono carne di delfino e focene”. Insomma la campagna ambientalista non si ferma qui, come si legge sul sito Eia. “Non ci arrenderemo fino a quanto non avremo un impegno formale da parte di Amazon a mettere al bando questi prodotti”.

Infine un avvertimento: “Ci auguriamo che altri rivenditori online di prodotti derivati da animali in via d’estinzione stiano prendendo appunti”.

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