Le brutte parole cambiano: fino a ieri inseguivano facce nere, gialle, marron per non parlare dei rom che “sporcano” le periferie. Ma la crisi sbriciola gli isterismi inventati da chi considera pericolose le nuove presenze innocenti. Con l’acqua alla gola cerchiamo bersagli concreti: ecco che “ricchi” e “banchieri “diventano nemici dei popoli dalla cinghia stretta. Per non parlare di manager il cui stipendio moltiplica per 500 la paga degli operai. Inevitabile la coda dei protettori politici. Giorno dopo giorno la rabbia accompagna chi va al lavoro con l’ansia di trovare uffici e fabbriche ancora in piedi. Sconsolazione che avvilisce chi bussa alle casse di risparmio matrigne: nessuna comprensione per i piccoli senza fiato.

I giornali diffidano; le televisioni insinuano. Spiano i privilegi di manager nascosti nei paradisi della vergogna. Pettegolezzi che affogano nel rancore. E Cortina, Capri, Porto Rotondo, le Maldive, i 4 mila euro a notte nel Mamoulia di Marrakech, insomma, quei posti lì, gonfiano solo un dubbio: quante tasse sopportano per godersela così? Spunta nei giornali della provincia la lettera di un ingegnere di Verona, quadro aziendale di rispetto, figlie all’università, Bologna e Milano: spiega come non sia semplice capire chi è ricco e chi non lo è.
A volte i numeri fanno confusione. L’ingegnere informa del suo stipendio: 4. 130 euro, tredici mensilità. Sogno irraggiungibile per il 99,23 per cento dei contribuenti. Proprio così: l’ingegnere appartiene alla fascia dorata degli italiani che raggiungono i centomila lordi l’anno. Pochissimi: appena lo 0,77 di chi paga le tasse. Per le statistiche ufficiali il resto d’Italia è quasi all’elemosina. Invece l’ingegner 0, 77 ha una vita senza problemi: Lancia di 4 anni fa, vacanze nella Puglia dai prezzi contadini. Pesano le figlie fuori casa e infastidiscono insidie poco considerate. Esempio, nessun ticket per visite e medicinali: fascia di stipendio superiore, pagano tutto. “Vorrei sapere come fanno gli altri ricchi a vivere come noi non riusciremo mai. Non parlo di autolusso, anche le borse griffate restano l’illusione delle mie tre donne incollate alle vetrine. Come comprarle se valgono un mese di stipendio di un professore di liceo”.

Eppure se le vetrine si accendono vuol dire che le borse si vendono. A chi? Il problema dell’Italia Duemila è ormai l’assenza di una classe da considerarsi media per la capacità economica che la tradizione un tempo monetizzava nella cultura immaginata come assicurazione per il futuro. Gli anni sono cambiati, l’ex borghesia precipita nelle classi grigie: impoverisce sull’orlo dello svanimento. Poveri e semi poveri, da una parte; ricchi e nababbi in maschera dall’altra. Si discute (con ipocrisia) se il blitz di Cortina sia il colpo di testa di chissà quale populista o l’abitudine civile dei paesi civili. Ma è certo che il termometro fiscale comincia a prendere in considerazione le disuguaglianze dei furbetti ai quali si restituiscono i nomi dimenticati: fuorilegge è la parola giusta. Nelle società ordinate i parametri sono precisi anche se Robert Frank, Wall Street Journal, conclude che la decisione del ritenere una persona ricca resta soggettiva: ricco è chi accumula più denaro di quanto gli serva per vivere senza problemi. D’accordo, ma cosa gli serve? Risposte inglesi: 145 mila dollari in tasca sembrano insufficienti ai fortunati di Londra; per sentirsi realizzati non vogliono andar sotto ai 230 mila. Nel nostro paese nessun parametro serio e le polemiche diventano stravaganti: con l’Europa che trema sono impegnate a stabilire quanti euro è necessario ufficialmente “non” guadagnare per cavalcare auto di lusso senza polizie ficcanaso che rompano le scatole durante le vacanze.
mchierici 2 @ libero. it

Il Fatto Quotidiano, 10 Gennaio 2012

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