“Se la destra intende cancellare lo Statuto dei lavoratori lo dica e non si nasconda dietro norme implicite”. E’ un fiume in piena Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro nel governo Prodi, che commenta la nota diffusa dall’Ufficio studi del Senato, secondo cui l’articolo 8 della manovra prevede implicitamente la possibilità di derogare le leggi in vigore, Statuto dei lavoratori compreso. Poco importa se subito dopo l’ufficio stampa di Palazzo Madama si affretta a chiarire che il documento esaminato è solo una bozza. Eppure il 14 agosto, quando Maurizio Sacconi illustrava i contenuti di sua competenza della Finanziaria , giurava: “L’articolo 18 non è stato toccato”. Anzi, per il ministro del Welfare, il corpus di normative che regolamentano il mondo del lavoro usciva sostanzialmente intatto dalla legge del governo. Compreso il famoso codice-baluardo che vieta il “licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo”.

Secondo Sacconi, l’articolo 8 del decreto “incentiva la contrattazione aziendale”. Il problema però è come: con la possibilità di stipulare contratti in deroga allo Statuto dei lavoratori anche nella parte che regolamenta i licenziamenti, eccezion fatta per quelli “discriminatori o di lavoratrici in concomitanza del matrimonio”.

Opposizioni e Cgil avevano subito notato come le norme varate dal governo rappresentassero un furbo escamotage per aggirare l’articolo 18 senza vietarlo esplicitamente. Ma oggi è arrivato anche il parere tecnico (e non politico) degli esperti di Palazzo Madama che conferma i timori di chi sosteneva come quel codice rappresentasse un attacco ai diritti dei lavoratori. I commi dell’articolo scritto dal titolare del Welfare possono “ridefinire la regolazioni delle materie inerenti all’organizzazione del lavoro e della produzione”, recita la nota dell’ufficio studi.

Ma c’è di peggio. Se si prende questa norma e la si combina con i contenuti dell’accordo sottoscritto da Confindustria assieme a Cgil, Cisl e Uil il 28 giugno, il risultato è che l’articolo 18 si annacqua pericolosamente. Il patto fra l’associazione degli industriali e le organizzazioni dei lavoratori prevede infatti che ai rappresentanti di una singola azienda sarà consentito di trattare in autonomia (e in deroga ai contratti collettivi) una serie di materie come orari e organizzazione del lavoro.

Tali norme saranno legge per tutti i dipendenti di un’azienda “se approvate dalla maggioranza delle Rsu”. E ora, con l’articolo 8 tanto caro a Sacconi, all’interno delle materie “trattate in autonomia” entreranno anche i licenziamenti. Basterà il via libera della rappresentanza sindacale di base di una singola impresa e non sarà necessario nessun referendum interno per stipulare contratti sostitutivi a quelli che a livello nazionale regolamentano i rapporti di lavoro.

Come ha detto il segretario generale della Cgil Susanna Camusso, il pericolo ora è “la proliferazione di accordi pirata, firmati da sindacati di comodo”. Cioè la creazione all’interno dei luoghi di lavoro di “sindacati gialli” che, in nome della produttività, potrebbero soprassedere su una serie di norme garantite dalla Costituzione. D’ora in poi “i diritti dei lavoratori dipenderanno dalle condizioni della propria azienda”, sostiene Camusso.

Ma secondo Sacconi, questo è uno strumento essenziale per garantire la ripresa economica in un momento di crisi e pesanti tagli. Del resto che la possibilità di licenziare sia il metodo per migliorare il mercato del lavoro e incentivare lo sviluppo è un vecchio pallino della maggioranza di centrodestra. Almeno fin dal 2002, quando la Cgil allora guidata da Sergio Cofferati portò in piazza a Roma 3 milioni di persone contro i piani del governo Berlusconi di smantellare l’articolo 18.

Ai tempi la risposta di massa dei cittadini fece desistere l’esecutivo, ma oggi ci risiamo. “Il governo ha approfittato della crisi per inserire il licenziamento facile”, dice al Fatto Quotidiano il responsabile del settore auto della Fiom Sergio Airaudo che sottolinea come questa Finanziaria scatenerà una guerra fra poveri: “Un’azienda in crisi può dire ai suoi dipendenti che o si chiude o si dà ai dirigenti la possibilità di licenziare alcuni colleghi”. Anche per questo motivo la Cgil ha annunciato battaglia e si prepare a uno sciopero generale.

Anche l’opposizione è sul piede di guerra: l’ex ministro Damiano del Pd parla di una legge in cui l’elemento fondante è “lo scempio dello stato sociale, dei diritti e della tutela dell’occupazione”, mentre Maurizio Zipponi, responsabile Lavoro dell’Italia dei Valori, bolla Sacconi come un “infingardo ministro della disoccupazione”.

Del resto il governo ha inserito la libertà di licenziare all’interno del capitolo sviluppo della sua manovra. E per l’esecutivo, i rilievi dell’ufficio studi di Palazzo Madama “non sono affatto una brutta notizia”, come sostiene il sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto che giudica l’articolo 18 come uno di quei “tabù sindacali che vanno abbattuti”.

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