Fiat non aspetta Monti, annuncia per gennaio l’uscita dai contratti collettivi e torna a dividere il sindacato italiano mentre il governo, per bocca del ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera, non commenta e fa sapere che in agenda per ora c’è la questione Termini. Domani alle 14 è fissato infatti un incontro in via Veneto tra sindacati, Fiat e Dr Motor ma nell’aria c’è sicuramente ben altro come conferma il ministro del Welfare Elsa Fornero che dopo l’annuncio di Marchionne scandisce: “Tutti siamo preoccupati, ma l’argomento richiede grande sensibilità e grande attenzione alle parole”.

Intanto la disdetta del gruppo Fiat da “tutti i contratti e accordi collettivi aziendali e territoriali vigenti” provoca una valanga di reazioni politiche e sindacali con Cgil e Fiom pronte allo sciopero e le altre sigle che si tirano indietro. E la conseguenza più immediata ed evidente della scelta di Marchionne è proprio la nuova rottura del fronte sindacale dopo i tentativi di unità che avevano scandito l’ultima fase del governo Berlusconi all’insegna della crisi e degli assalti all’articolo 18. A prestare il fianco all’operazione voluta da Marchionne, che il 3 ottobre scorso aveva avuto un assaggio a Pomigliano con l’addio a Confindustria, è il segretario della Cisl Raffaele Bonanni che si è detto pronto a sottoscrivere un contratto nazionale dell’auto a parte. “E noi lo faremo, con regole nazionali che valgono per tutti gli stabilimenti e regole aziendali specifiche in modo di avere accordi che si adattino alle realtà dei vari territori ”, taglia corto. Mentre monta la polemica e Cgil e Uil alzano il tiro e parlano di sciopero ancora Bonanni avverte che la Cisl non sciopererà contro la decisione di estendere il modello di contrattazione decentrata di Pomigliano vanificando in un colpo la speranza delle altre sigle di sabotare dall’interno l’operazione Marchionne e quanto meno limitarla all’ambito Fiat.

Perché dalle parole di Susanna Camusso, leader della Cgil, si capisce bene quale sia la grande paura: che la strada imboccata da Fiat per l’auto possa essere seguita da altri comparti con effetti devastanti sul diritto del lavoro. “Un grande sindacato confederale non può mai accettare un’azienda che decida di escludere altri sindacati. E lo dico in particolare a Cisl e Uil”, ha affermato la Camusso parlando con i giornalisti a Firenze a margine del convegno «Uscire dal tunnel. Europa, crisi sindacato, contrattazione», in corso nell’aula magna dell’Università. «Mentre Fiat prosegue il suo cammino solitario, il tema fondamentale – ha sostenuto la leader della Cgil – è di ripartire dalle grandi imprese pubbliche e provare a fare delle politiche industriali. Noi abbiamo detto, in tempi non sospetti, che un’azienda che continua a citare un piano industriale che non illustra, fa venire il sospetto che forse le sue intenzioni sono altre. Poi mi viene sempre da notare che c’è una sorta di meccanismo a orologeria: ogni volta che si prova a far ripartire questo Paese, Fiat decide di piombare dentro la rottura delle relazioni sindacali. Anche questo è un modo per non discutere mai dei suoi programmi», ha concluso Camusso riservando una stoccata decisa a Marchionne e un invito al nuovo governo: “Fiat vuole scaricare i suoi errori sugli operai (…) auspico che il nuovo governo sia un grado di convocare un tavolo sulle questioni di politica industriale e sulla contrattazione”.

“La disdetta degli accordi da parte della Fiat è una decisione coerente con la scelta di dar vita ad un nuovo contratto che rilanci l’industria dell’auto nel nostro Paese. Bisogna avviare subito un tavolo negoziale che si ponga questo obiettivo, puntando sulla crescita salariale e sulla produttività” della Uil, Luigi Angeletti. Queste, aggiunge, “sono le due condizioni di partenza per restituire competitività al settore, consolidare gli stabilimenti italiani e aumentare l’occupazione. In questo quadro, tutti i sindacati devono assumersi la responsabilità di offrire ai lavoratori della Fiat una prospettiva di sviluppo. Non è accettabile, dunque, che la Fiom operi in una condizione di privilegio in cui, da un lato, non si assume alcun impegno contrattuale e, dall’altro, pretende di avere mani libere, violando così la legge e, in particolare, lo Statuto dei diritti dei lavoratori».

Più prudente la Cisl per bocca del numero due Giorgio Santini che parla di una “scelta ruvida” da parte di Fiat: “La decisione è in qualche modo attesa e fa seguito alla scelta di uscire da Confindustria. In questo modo si delinea l’orizzonte temporale nel quale concludere il nuovo contratto. Perché l’uscita da Confindustria non deve significare assolutamente l’uscita dalla contrattazione collettiva». Una via d’uscita possibile, secondo Santini, è quella di “arrivare rapidamente ad estendere a tutto il Gruppo il nuovo contratto di primo livello che in parte conosciamo già ma che deve essere maggiormente definito anche in rapporto a quello che è il contratto nazionale collettivo dei metalmeccanici». «La scelta di Fiat è come sempre molto ruvida» commenta Santini sottolineando «la necessità immediata di giungere entro il 31 dicembre ad avere la copertura contrattuale collettiva di primo livello per tutti i lavoratori del gruppo Fiat. Ci auguriamo – conclude – che anche la Fiom partecipi alla trattativa».

Con il passare delle ore si fa sempre più dura la posizione della Fiom. In una nota il sindacalista Giorgio Cremaschi parla apertamente di diktat fascista fuori dalla legalità: “Un anno e mezzo fa a Pomigliano Marchionne per la prima volta imponeva il suo diktat. Allora in tanti dissero che quella era un’eccezione. Oggi quell’eccezione è diventata la distruzione del contratto nazionale e la negazione delle più elementari libertà per i lavoratori. Quello della Fiat è un sostanziale fascismo, perchè non solo si vogliono imporre condizioni di supersfruttamento ai lavoratori, ma si vuole anche impedire ad essi la libera azione sindacale e persino il libero voto per le proprie rappresentanze. Nemmeno negli anni Cinquanta la Fiat si sognò di abolire le elezioni delle Commissioni interne. Oggi Marchionne stabilisce un sistema extracostituzionale ed extralegale che cancella per i lavoratori Fiat le libertà costituzionali”. Da qui, l’invito allo sciopero. «Non è più il tempo delle parole o dei timidi distinguo. Ognuno è chiamato a dire da che parte sta. In primo luogo chiediamo una rigorosa autocritica a chi, dicendosi di sinistra e per la democrazia come i sindaci di Torino e Firenze, ha sinora appoggiato l’autoritarismo di Marchionne. Il governo, a sua volta, ha uno strumento molto semplice per dimostrare che non è d’accordo con la Fiat: mettere in mora e abolire l’articolo 8 della manovra del precedente governo. Senza quell’articolo l’operazione di Marchionne è priva di qualsiasi sostegno giuridico. Se questo non verrà fatto vorrà dire che il governo sostiene nei fatti l’azione della Fiat», continua Cremaschi. «Il tempo delle parole è finito, se si vuole fermare il dilagare del fascismo aziendale dalla Fiat a tutto il paese, è il momento di fatti nudi e crudi», conclude il sindacalista.

Si incendia anche la politica. Stefano Fassina, responsabile economico Pd, parla di “scelta sbagliata e molto preoccupante”: “Marchionne ancora una volta – ha proseguito – come avvenuto anche prima dell’estate, interviene a gamba tesa con un atto unilaterale che non può essere un buon viatico per ricostruire un clima costruttivo. Un accordo che tenga conto delle esigenze dell’azienda, ma anche delle esigenze importanti e fondamentali dei lavoratori». Secondo Fassina,la nuova decisione Fiat non spaccherà il Pd, nel quale nei mesi scorsi si erano registrate anche prese di posizione a sostegno dell’operato dell’ad Sergio Marchionne. «Mi pare – ha affermato – che ci sia stata una posizione molto condivisa nel Pd sulla posizione di Marchionne, che è sbagliata, unilaterale e che alimenta il conflitto. Noi abbiamo bisogno di cooperazione. L’era di Marchionne “senza se e senza ma” per me non è mai cominciata».

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