Prima di cominciare a parlare Matteo Renzi si mette la giacca, se la sistema. Si alza in piedi. Sono le 12 e 35, quando inizia il discorso conclusivo della Leopolda anno secondo. Finisce alle 13 e 20: 45 minuti esatti per diventare “ufficialmente” grande, per passare dalla rottamazione alla proposta. Perché “non possiamo permetterci di fare una Leopolda 3”, ma “dobbiamo ragionare sui contenuti”. “Porre una speranza”, dice. E si dà 3 mesi di tempo: “In 3 mesi si capirà che succede, che fine fa il governo Berlusconi”.
Eccolo qua, Matteo Renzi, fa passare mezz’ora prima di dire che lui non si candida oggi alle primarie, ma che si sta costruendo le basi per candidarsi, che non si brucia, né si tira indietro, che si pone davanti al suo partito, dettando le regole e non facendosele dettare. Che continuerà a turbare i sogni dei dirigenti del Pd per parecchio tempo perché – come spiega nella conferenza stampa dopo la chiusura – “se perdiamo le elezioni, ci fanno il Trattamento sanitario obbligatorio”. In tre giorni di Leopolda ci sono stati gli scrittori, gli amministratori, i cittadini, tanti curiosi, tanta gente che di certo non è tra gli elettori normali del centrosinistra: oggi Matteo Renzi si fa precedere dai nomi di peso, da uomini chiave della televisione (più che dell’informazione) e dell’economia: parlano Antonio Campo Dall’Orto, Giorgio Gori, Luigi Zingales. Ed è da loro che arriva l’investitura, quasi ufficiale “Matteo io ci sono”.
Sembra quasi di assistere al formarsi di una squadra di governo, che non arriva dai ranghi né del centrosinistra, né del centrodestra. Poi, lui la scena se la prende tutta: “Se qualcuno degli amici che stanno fuori di qua pensava che dalla Leopolda uscisse fuori un elenco delle ambizioni di giovanotti che vogliono scalciare e sgomitare questi tre giorni sono stati una risposta”, manda a dire a Pier Luigi Bersani che ieri da Napoli gli aveva fatto arrivare un’ammonizione (“i giovani non devono insultare e scalciare”). Di più. “Reclamiamo il futuro”. Non risparmia critiche sostanziali al centrosinistra: “Ho paura che al fallimento del centrodestra non saprà rispondere o replichi senza coraggio e solo con slogan e conservazione”. Mostra un video famosissimo di “Non ci resta che piangere”. “Ricordati che devi morire”, dice una, due, tre volte il monaco a Massimo Troisi. E lui, alla fine “Sì, mo’ me lo segno”. Ogni riferimento a qualche uccello del malaugurio è puramente casuale.
E ancora una stoccata: “Il Partito democratico è per definizione un partito che sa ascoltare”, “non che reprime le energie”. E spiega che “il modello di Pd per cui ci sono i dirigenti che danno la linea agli eletti, i quali sono chiamati ad andare dagli elettori a fare volantinaggio per spiegare, andava bene nel ‘900. Le primarie non sono solo un modo per selezionare in un modo diverso la classe dirigente sono un ribaltamento, gli elettori che scelgono, non con il casting, e che poi possono andare a muso duro a dirgli cosa hanno fatto o cosa non hanno fatto. Se pensate che io debba prendere la linea economica di questo paese da un signore che non prende nemmeno i voti nel suo condominio, io non ci sto”. E per essere ancora più chiaro, non è possibile che “cambino i loghi dei partiti, ma non le facce”.
Prova a enunciare qualche principio base: uno stato “che non si sostituisce a noi dall’inizio alla fine” , l ‘età pensionabile che “con il sistema contributivo, ovvero ognuno prende quello che ha versato, può anche essere aumentata di due anni”. E poi, fuori i partiti dalla Rai, da Finmeccanica, dalle municipalizzate. E un centrosinistra che non distingua tra lavoratori e imprenditori. Quando qualcuno dei giornalisti più tardi gli chiede se lo preoccupa piacere a molti di centrodestra, non fa una grinza. A Silvio Berlusconi riserva solo un passaggio, perché “lui non è il nostro futuro”: “Non gli perdono di aver portato l’Italia ad essere considerata il paese della volgarità e della vergogna e non della bellezza”. E poi chiarisce: “Non ci serve un altro uomo della Provvidenza, nel secolo scorso ne abbiamo già avuti due”. E allora, “nessuno ha l’ambizione di salvare il mondo da solo”.
Mentre si avvia alle conclusioni cita un sms arrivato da un leader nazionale: “Chi te lo fa fare? Hai 36 anni? Tra 8 anni finisci di fare il Sindaco di Firenze e ne avrai 44. Che senso ha tu venga qui a candidarti?”. Un po’ di sufficienza e di scherno, mentre la platea risponde con le risate, e poi va con la retorica: “Non so se alla fine ci candideremo, ma certo avremo fatto un piacere all’Italia restituendo dignità alla politica. Così riporteremo l’Italia ad essere patria della bellezza e non delle volgarità”. La gente (tantissima) applaude, risuonano le parole di Jovanotti che in questi giorni tutti hanno imparato a memoria. “Il più grande spettacolo dopo il Big bang siamo noi, siamo noi”.
Entusiasmo ed energia sono palpabili. Stasera online ci saranno le 100 proposte per il “Wiki Pd”, un primo esempio di cosa ha davvero in mente Matteo Renzi. Dopodichè si apre di certo una ennesima fase di “confronto” (per non dire di lotta interna) dentro il Pd. Di certo lui, Renzi è uno che non molla. Raccontava un tassista: “Mi piace Renzi? No, non mi piace. E certo non è di sinistra. Lui è uno che se gli chiedi una cosa spesso ti risponde con una che non c’entra niente”. Sì, però a Firenze tutti, praticamente tutti, parlano di lui. Sembra quasi un’ossessione. “E certo perché lui ci rompe le scatole continuamente, non ci lascia in pace un momento”.