Non esiste una letteratura al femminile, né come genere, né intesa come corpus di tematiche e moduli espressivi espressamente dedicati alle donne. Esiste una letteratura fatta dalle donne ed esiste una letteratura che parla di donne. Non sempre le due cose coincidono. Nel caso di questo libro, uscito qualche giorno fa per Mondadori con un titolo che è già un programma, Non è un paese per donne (Racconti di straordinaria normalità), ci troviamo al cospetto di un’antologia, curata da Carmen Pellegrino e Cristina Zagaria, che intende offrire un’istantanea della condizione femminile negli anni Duemila attraverso la voce di quattordici scrittrici italiane.

Il rischio che un’operazione editoriale di questo genere venga intesa secondo logiche ghettizzatorie è sempre in agguato, da qui la premessa da cui sono partito. Va detto invece che questo è un libro che sfugge alle intenzioni originarie e finisce per parlare dell’Italia odierna, nel senso più vasto possibile. Parla di un’epoca in cui impera un maschilismo di Stato, in cui le stesse istituzioni democratiche sono perennemente sotto il giogo degli appetiti sessuali di singoli uomini di potere, e in cui il modello dominante è sempre quello sessista proposto da trent’anni di Tv berlusconiana. I racconti di questa antologia concentrano l’attenzione sul precipitato della cronaca politica e sociale italiana, andando ad analizzarne il sedimento, il fondo, ossia quelle donne (e sono la maggioranza) che – come si legge nella prefazione firmata da Miriam Mafai “ogni giorno lavorano (o cercano un lavoro), studiano (spesso con notevole successo), si occupano dei propri figli (con le difficoltà determinate dalla mancanza dei servizi sociali), stabiliscono reti di solidarietà e di affetti”.

Ecco allora queste storie, alcune dolenti, altre ironiche, vere o comunque verosimili (siamo in un territorio che spazia dalla narrativa d’invenzione alla non-fiction novel), narrate da donne diversissime per età e provenienza, resoconti che contribuiscono tutti insieme a realizzare un patchwork vivissimo sulla realtà dei nostri anni. C’è la storia di una donna albanese, Poli, vittima della violenza di un marito manesco, raccontata da Emilia Marasco; quella delle battaglie quotidiane e solo apparentemente minori di una madre single, firmata da Margherita Oggero; e ancora la vicenda straziante di Matilde Sorrentino, assassinata nel 2004 per aver denunciato un giro di pedofili a Torre Annunziata, descritta con infinita grazia e fermezza morale da Carmen Pellegrino.

Io ho letto i racconti di Non è un paese per donne non come una descrizione della nostra storia recente, ma come una conseguenza. Poiché la letteratura è un sintomo (uno dei tanti) della società; a volte, nel migliore dei casi, una reazione. E allora la distanza che corre dall’immagine mediatica che la nostra epoca ha fornito della donna italiana e il ritratto autentico che invece emerge da questo libro è il segnale di una rottura profonda, di una lacerazione nella capacità cognitiva di un’intera società, la nostra, intrappolata fra un eterno presente fatto di pixel e un’incapacità, divenuta cronica, di guardarsi allo specchio, senza trucco e con la luce del giorno.

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