«Faremo tutto il possibile per riportare Londra e il Regno Unito alla normalità. Chi è abbastanza grande da essere punito, sarà punito. E i rivoltosi sentiranno la forza dura della legge». Discorso quasi da Far West per il premier britannico David Cameron, che oggi è volato dalla Toscana, dove si trovava in vacanza con la moglie, alla capitale, per dare un segnale di fermezza al Paese. Ma le domande dei giornalisti non sono state accondiscendenti. «Ritenete di aver fatto veramente tutto il possibile e immaginabile per evitare questo che sta succedendo?», chiedeva poco fa un cronista. «Stanotte metteremo 16mila poliziotti a guardia della città», la risposta di Cameron. E poco dopo il discorso del premier, è la realtà nuovamente a irrompere sulle parole: Skynews rilancia la notizia della morte del 26enne ferito ieri sera a Croydon.  Si tratta di un giovane deceduto oggi in ospedale, dove era stato condotto a tarda sera dopo essere stato trovato esanime a bordo di un’auto, raggiunto da un colpo di arma da fuoco nel sobborgo meridionale della capitale.

Ieri, tra i fermati c’era persino un bambino di undici anni – nel Regno Unito si è incriminabili dall’età di dieci – che si divertiva a spaccare vetrine e a lanciare sassi contro la polizia. Una violenza mai vista a Londra, così commentavano le forze dell’ordine che si è poi estesa ad altre città della Gran Bretagna: Liverpool, Birmingham, persino la altrimenti tranquilla Bristol. Ma è la capitale che è letteralmente stata messa a ferro e fuoco nella terza notte di guerriglia urbana, scoppiata sabato dai manifestanti che chiedevano giustizia per la morte di Mark Duggan, ucciso giovedì scorso dalla polizia durante un inseguimento. Ora la Metropolitan Police ha chiesto scusa ai famigliari dell’uomo, padre di quattro figli con precedenti penali – ma che, dicono gli amici, non avrebbe mai fatto del male a nessuno – ma non è servito a nulla. Anche la commissione d’inchiesta indipendente incaricata di far luce sul caso ha fatto sapere che non ci sono prove che la polizia abbia risposto al fuoco di Duggan e che lo stesso abbia mai sparato. E a violenza si è aggiunta violenza.

Il bollettino è da guerra: 21mila chiamate d’emergenza in una sola notte, contro le normali 5mila. Decine di agenti feriti, di cui uno in modo grave. Centinaia le persone arrestate, centinaia le automobili incendiate e centinaia i negozi assaltati, saccheggiati e distrutti. A Walworth, per esempio, nel Sud della capitale, l’elenco degli shop danneggiati è anche un elenco di ferite gravi al tessuto commerciale britannico. I ragazzi delle proteste attaccano soprattutto i grandi marchi inglesi, dalle farmacie Boots ai negozi di telefonia Carphone Warehouse, dal colosso delle calzature Foot Locker agli sportelli della banca Barclays. Un movimento contro la globalizzazione, verrebbe quasi da pensare. Invece no, è solo violenza gratuita ormai, spinta dalla voglia di furti e rapine, dicono i londinesi.

I carrelli da supermercato sono stati i grandi protagonisti di queste notti. Sopra, televisioni, computer, telefoni, vestiti e scarpe, derrate alimentari, farmaci e prodotti di bellezza. E mentre Londra bruciava, la scorsa notte, la gente si barricava nelle case, portava le macchine il più lontano possibile ed evitava di prendere persino i mezzi pubblici, che in una metropoli come Londra fanno spesso la differenza fra l’essere isolati nel proprio quartiere oppure vivere a pieno nella società. Il primo ministro David Cameron è rientrato in fretta e furia dalle vacanze in Toscana. Sono tornati al lavoro anche ministri e parlamentari, così come sta rientrando il sindaco di Londra, Boris Johnson. E la politica inizia a interrogarsi, perché il fuoco, la cenere, le teste spaccate e una città messa a dura prova non rimangano fatti inspiegati, dovuti al caso o alle “colpe” di una città che è troppo grande e multiculturale per non pagarne le conseguenze.

Molti esponenti del Labour, fra i quali l’ex sindaco, il “rosso” Ken Livingstone, si sono affrettati a dichiarare: «Questa violenza è anche vittima dei tagli alla spesa pubblica da parte del governo Cameron. Quando si chiudono centri giovanili e centri sociali, biblioteche, servizi assistenziali e quando si tagliano i benefit, tutto questo può accadere». Puro sciacallaggio secondo i tabloid di destra. Ma qualcuno dovrà pur cercare di spiegare ai londinesi perché, già da tre lunghe notti ormai, la loro città è stata preclusa. Quasi come un campo minato, dove le mine erano costituite dalle bombe alla benzina e dai missili artigianali dei “rioters”.

Ma i rivoltosi – se così è possibile chiamarli – hanno usato anche mezzi ben più sopraffini. La polizia lo ha detto: gran parte delle sommosse è stata organizzata sui social network e sul sistema di messaggeria del Blackberry – il telefonino più diffuso in Gran Bretagna – che non è intercettabile dai normali strumenti in mano alla polizia. Una violenza ad alto contenuto tecnologico eppure molto semplice, come testimoniano i video dei furti e dei saccheggi.

La stessa Metropolitan Police ha detto di aver cominciato a usare gli stessi siti usati dai giovani per cercare di smascherare i ragazzi che stanno seminando il terrore nelle strade di Londra. Tutti, del resto, cercano di fare quello che è possibile. I negozianti stazionano davanti alle proprie serrande, anche di notte, per evitare assalti. Gruppi di cittadini armati di guanti industriali e pale, questa mattina, sono stati visti nelle aree più devastate, nel tentativo di fare una prima pulizia. Chiunque abbia un telefonino con videocamera fa riprese di rapine e saccheggi e poi consegna il filmato alla polizia. Londra, insomma, reagisce come può. In attesa di quella che potrebbe essere la quarta, interminabile notte di delirio incontrollato.

di Matteo Impera – aggiornato da redazione web alle ore 18.41

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