Felice è figlio del suo tempo, cui va incontro a grandi falcate. A 25 anni è uno di quei giovani cresciuti nell’era dei social network e della Rete “senza padroni”. E sa benissimo cos’è il giornalismo “fatto dal basso”. Questione generazionale. E mentre la mattina scarpina per arrivare alla Federico II di Napoli dove studia Scienze Politiche, sogna di diventare giornalista. Non li limita però solo a sognare. Grazie a stage e collaborazioni varie, riesce infatti a ottenere il tesserino di pubblicista.

Il quadro dell’Italia che rimanda certa Tv non gli piace per niente. Inchieste giornalistiche considerate scomode da chi governa, immigrati dipinti come un problema. Le immigrate un po’ meno. I Simpson che sono più credibili del Tg di Minzolini. Emilio Fede ancora direttore di una testata giornalistica. E chi protesta è comunista e i giovani sono bamboccioni e le intercettazioni non servono a nulla. Un Paese, l’Italia, dove il premier telefona in diretta in Tv. Ma poi riattacca. Dove la guerra è missione di pace. Dove le tasse ammazzano solo gli onesti.

Felice vorrebbe per il suo Paese un futuro diverso. Voci dai quartieri che si alzano e rompono il brusio per diventare parola aperta e chiara, megafono di aspirazioni e nuove maniere di stare insieme. Vorrebbe anche un modo di fare notizia diverso. Nei grandi network, gli sembra che tutto sia congelato. In un perenne, monocromatico, fermo immagine.

Nella Rete, invece, Felice ritrova i colori del confronto aperto. E questo lo incita irrefrenabilmente a dare il suo contributo, per provare a far fare un giro di boa all’informazione che non gli piace. Ma come? Ci pensa e ci ripensa e poi arriva l’idea: perché non creare un medium aperto a giovani e studenti, liberi cittadini e lavoratori precari? Uno strumento che contenga un giornale online, una web-radio, una Tv in Rete. Uno spazio dedicato a scuola, università, lavoro, ambiente, storia, Costituzione, immigrazione, cinema, musica, diritti umani. Come chiamarlo? Onda Libera, decide subito. Come il titolo di una canzone dei Modena City Ramblers che fa così: “È un’onda che si allunga / Come quando l’aria annuncia il temporale / Un’energia che sale e si diffonde / E non la si può fermare (…) / Onda libera, onda libera! Libera frequenza, libera esperienza”.

Certo, il progetto è difficile da realizzare e partire senza soldi non è certo la condizione ideale. Ma è un dato di fatto col quale convivere e allora Felice si rimbocca le maniche. Inizia a parlare prima con un amico, poi con due, poi con tre. Arriva a quindici tra redattori, collaboratori e simpatizzanti. Tutti giovanissimi. Non tutti aspiranti giornalisti ma pieni di voglia di raccontare la realtà in cui vivono. Quella che troppo spesso vedono oscurata sui grandi media. La notizie arrivano loro da canali alternativi: la Rete, i lettori, gli amici di Facebook sparsi in tutta Italia.

Non hanno una sede. Come quelle band “almost famous” che si chiudono nella prima cantina disponibile per fare le prove. Le riunioni fiume sono a casa di Felice, con la mamma che prepara litri di caffé. Il loro punto di riferimento è la strada. Luogo d’incontro e relazione, scambio e partecipazione e, almeno una volta a settimana, escono muniti di videocamera e intervistano la gente. Il più delle volte a Napoli. Argomenti di discussione tanti. Dal referendum sull’acqua e il nucleare alla legge sulla giustizia, dalla riforma universitaria alle domande imbarazzanti e divertenti sul sesso. Stare tra la gente è il loro “centro di gravità permanente”. E non vogliono mollarlo per niente al mondo. Giovani sempre.

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