“Facci sognare! Vai!”. Era il 7 luglio 2005 quando Massimo D’Alema lanciava questo invito a Giovanni Consorte. Un’estate alle stelle, quella. Ai vertici di Unipol, stava scalando la Banca Nazionale del Lavoro (ma non solo quella) finendo per essere indagato per aggiotaggio e insider trading. E ancor prima, a fine anni Novanta, era entrato a far parte dei 180 “capitani coraggiosi” di Roberto Colaninno che avevano dato l’assalto a Telecom tramite una società ai tempi sconosciuta, la Bell, e che poi l’avevano abbandonata all’era Tronchetti Provera, terminata con il noto scandalo di intercettazioni abusive, dossieraggi e assalti informatici a cui non era estraneo nemmeno qualche vertice del Sismi.

L’entourage – discutibile, per un uomo che veniva dalla sinistra e della cooperazione – era quello dei Caltagirone, Coppola, Ricucci, Statuto e Bonsignore. E uno degli oggetti del contendere era la Banca Nazionale del Lavoro, privatizzata nel 1998 dopo un riassestamento. E dopo essere stata attraversata da una serie di scandali che vanno dalla P2 alla cosiddetta “kriminal bank”, ossia la Bank of Credit and Commerce International (Bcci), colosso finanziario mediorientale che, appoggiandosi alle simpatie socialiste in Bnl, aveva elargito qualche strano prestito, attraverso la filiale di Atlanta, a personaggi come Saddam Hussein.

Queste però erano storie passate quando si arriva all’estate dei furbetti. In primavera era stata varata una legge, su recepimento di una direttiva europea, che stoppava il cosiddetto “market abuse”. E allora occorreva, per impossessarsi dell’istituto di credito, tessere una fitta di rete di alleanze non dichiarate per scalare Bnl e così portarsela a casa trovando al contempo anche un po’ di soldi che a Unipol mancavano in quel momento.

Che qualcosa iniziava a girare male per l’astro dell’economia rossa, Consorte lo capì però il 14 luglio 2005, quando alle 9.46 del mattino Massimo D’Alema gli telefonò per invitarlo a un urgente incontro de visu. «Devo farti l’elenco […] delle prudenze che devi avere […]. Sì, delle comunicazioni». Intercettato. Come il governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, e come il collega banchiere Giampiero Fiorani, impegnato in altra scalata. E come un sacco di altri avventurieri della finanza, del mattone e della politica di quel periodo.

Qualcuno da Milano se l’era cantata che l’autorità giudiziaria aveva iniziato a prestare troppa attenzione al loro arrembaggio. E in proposito scriveva il gip Clementina Forleo nell’ordinanza inviata alle Camere il 20 luglio 2007: «È evidente che la “prudenza” […] non può che essere riferita a notizie avute in ordine a possibili, anzi a probabili intercettazioni in corso».

Sciocchezze, ribatterà nella sostanza D’Alema, che faceva l’offeso perché nel capoluogo lombardo si parlava di associazione a delinquere che coinvolgeva anche il suo uomo in Unipol. E gli tenne compagnia Piero Fassino, seppur con toni meno misurati, quando si faceva dell’ironia su personaggi come Ricucci presenti nell’operazione condotta da Consorte. Ma poi si lasciava andare a uno «straordinario» quando, il 17 luglio 2007, il patron della banca rossa gli spiegava la strategia della sua Opa su Bnl.

«Noi domani usciremo che le azioni degli immobiliaristi le comprano tre banche mondiali […], la Nomura, la Deutsche Bank e il Credit Suisse […]. E poi le comprano quattro banche italiane, quattro cooperative e Hopa […]. Loro comperano il 27,2 e si tengono le azioni. Io lancio l’Opa…»

«Comunque la banca ce l’avremo saldamente in mano», gli fa Fassino forse per esser certo di aver capito bene. «Saldamente», viene rassicurato. E aggiunge: «Sono dei figli di puttana perché le hanno provate tutte a denigrarci». Il giorno successivo, il 18 luglio 2005, parte un’Opa su Bnl che non sembrerà ai magistrati troppo regolare: attraverso una serie di accordi, si aggira la legge in base alla quale viene imposta la soglia del 30 per cento sul possesso delle quote di una società.

E quando l’operazione verrà contestata, l’ordinanza Forleo si focalizza bene sul ruolo dei Democratici di Sinistra e su alcuni suoi uomini (oltre ai già citati D’Alema e Fassino, anche Nicola Latorre, per esempio), andato ben oltre il ruolo di osservatore compiaciuto. Ma perché tanto sostegno? La comune appartenenza politica non è sufficiente. Scavando un po’ nella storia politica recente, si vede per esempio che nel 2001 Unipol aveva curato la vendita dei beni del partito per rientrare di un debito che nel 1996 era di 250 milioni di euro e che 6 anni più tardi toccherà quota 580. Dovevano essere vendute 145 proprietà immobiliari, tutte sedi di federazione, a cui si aggiungeva anche la storica Botteghe Oscure. Tra le buone intese che si instaurarono ci furono quelle con Cesare Geronzi, il cui avvocato diventerà Guido Calvi, lo stesso di D’Alema, e Vincenzo De Bustis, ai tempi ai vertici di Deutsche Bank e grande elettore dell’ex premier nel collegio di Gallipoli.

Oggi, da un punto di vista giudiziario, per Giovanni Consorte i giochi sono ancora aperti. Per l’accusa di insider trading, è stato condannato a Milano, insieme al suo vice, Ivano Sacchetti, in primo e secondo grado a sei mesi di reclusione. Nel 2009 però la Cassazione ha annullato tutto per incompetenza territoriale e ha disposto la trasmissione degli atti alla procura di Bologna. Insomma, da questo punto di vista, parecchio lavoro da rifare. A proposito ancora della vicenda Bnl, viene anche sanzionato dalla Consob per un importo complessivo di 300 mila euro.

Proclamatosi sempre innocente e dichiarando di aver agito solo nell’interesse di Unipol (tanto da mettere online un sito in cui spiega dal suo punto di vista la vicenda), sempre con il suo ex vice, a febbraio assiste alla richiesta di una condanna a 3 anni e 3 mesi per aggiotaggio e ostacolo alle autorità di vigilanza nella vicenda Antonveneta, anche questa legata alle scalate di metà anni Zero.

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